Il Re Sole e il principe che lo sconfisse

Il Re-Sele e il principe che lo sconfisse Le biografie parallele di Luigi XIV e di Eugenio di Savoia: a confronto due sovrani e mecenati Il Re-Sele e il principe che lo sconfisse Dagli splendori di Versailles al tesoro del condottiero /\ IUALCHE anno prima di 11 scomparire, Lytton Stra11 chey ebbe a tessere l'elo11 gio della biografia come VJ espressione letteraria, pago del successo ottenuto con la sua Queen Victoria, e più ancora con quei profili di personaggi ottocenteschi che gli fecero poi contendere la palma della biografia a Ludwig e a Maurois. Strachey previde che in futuro la biografia non solo non sarebbe tramontata ma avrebbe avuto un'affermazione ancor maggiore per consentire ai contemporanei l'analisi di un pasato più o meno recente, con i suoi personaggi e le sue problematiche. Gli eventi letterari sembrano dargli ragione. I cataloghi di decine di editori italiani e stranieri sono affollati di biografie come non mai. Su questa via s'è incamminata pure la Sei e due suoi volumi, appena giunti in scaffale, consentono interessanti riflessioni e, in modo insperato, un parallelo, anzi un raffronto-scontro fra due protagonisti europei di eccezionale statura. Si tratta di Luigi XIV e il suo tempo di Robert Mandrou, e di Eugenio di Savoia, di Derek McKay. Uno dei massimi costruttori dell'assolutismo monarchico, dunque, e, suo contemporaneo, lo stratega vincitore dei turchi, il principe che irrompe poi sulla scena dell'assedio di Torino del 1706 e, con l'aiuto di Pietro Micca e del suo personale sacrificio, batte i francesi. Due personaggi diversi e, tuttavia, con un comune gusto per il bello, per la ricerca; a modo loro due raffinati, che la storia pone nel finale della loro esistenza in rotta di collisione, sino a che Eugenio riuscì a sconfiggere le truppe di Luigi XIV. Uno scrittore piemontese, Carlo Trabucco, ne aveva tratto ispirazione per comporre un saggio intitolato Scacco al Re Sole. Re Luigi, che illuminò la sua èra da Versailles, sovrano dall'età di cinque anni - assunse il potere effettivo nel 1661 alla morte del cardinale Mazarino -, emerge dal ritratto del Mandrou come il ragno ingegnoso che dallo splendente cuore dell'impero tesse la tela dorata con l'apporto di artisti, pittori, scultori, architetti e scrittori. Una tela, bene inteso, sull'impalcatura politica eretta dai successi dei generali e delle truppe, che, altrimenti, il sogno di re Luigi non sarebbe neppure iniziato. Scrive Mandrou: «Versailles desta una meraviglia tanto più grande in quanto non esiste in questo periodo un monumento paragonabile ad esso: né Cantilly del gran Condé né le realizzazioni di Mansart prima della sua entrata nei cantieri di Versailles nel 1679. Ed è estremamente diffìcile ricostruire questa lunga storia fatta di esitazioni, cambiamenti e demolizioni; durante iprimi anni Luigi XIV si è preoccupato anche del Louvre e di Fontainebleau; quando il Cavalier Bernini giunge a Parigi nel 1665, lavora appunto con Colbert a progetti di sistemazione e completamento del Louvre, e visita i primi lavori di Versailles in qualità di consigliere, la cui principale preoccupazione è però altrove. A poco a poco, per tappe successive che sono state ricostruite da P. de Nolhac e avallate da Pierre Francastel nella sua tesi su "La sculpture de Versailles", i conti dei palazzi regi sono divenuti quelli del solo Versailles. Tutto il resto passa in secondo piano o addirittura si cancella». Sembra finire nel dimenticatoio, o quasi, anche la sistemazione di Parigi, con nuove banchine e pavimentazioni nel centro della capitale e nell'imme¬ diata cintura, come alle porte Saint-Martin e Saint-Denis. Luigi XIV ed Eugenio di Savoia trovano un riflesso parallelo, i presupposti per un raffronto, proprio nella grandiosità del loro operare come mecenati, che tuttavia non spesero quasi nulla di proprio, fatta eccezione per Eugenio che in qualche palese occasione prese dalle proprie tasche, ma poteva permetterselo. Derek McKay si diffonde a dirci del «tesoro» accumulato da Eugenio, anche se non può raccontare molto sulle origini di questa fortuna. La corrispondenza personale del principe e i suoi conti, che avrebbero potuto spiegare certe spese, sono andati perduti. Aveva di certo ottime rendite, che aumentarono ancora quando divenne, a partire dal 1703, presidente del Consiglio di Guerra, più gli introiti che gli piovevano di continuo dalle sue cariche imperiali. Doni, terreni, premi, ottimi investimenti, facevano di Eugenio uno degli uomini più ricchi del suo tempo. «Quando morì, nel 1736 — annota McKay — il suo patrimonio complessivo, che non includeva le tenute nell'Ungheria meridionale, fu stimato a due milioni di gulden, ed eraprobabilmente una sottovalutazione: i palazzi del Belvedere e della Himmelpfortgasse furono valutati solo centomila gulden ciascuno, tuttavia singoli pezzi di arredamento costavano più di diecimila gulden». Poi c'erano le proprietà in Savoia, che visitò solo una o due volte. Con questa sicurezza finanziaria, Eugenio poteva pensare a meraviglie archittettoniche che rimangono come espressione di magnanimità e di buon gusto, a collezionare, con la smania di reperire di continuo «tesori», aiutato nella ricerca da uomini come Biagio Garofalo, antiquario napoleta¬ no destinato a restare a Vienna fino agli Anni Sessanta, buon conoscitore di Spinoza, un giurisdizionalista e spirito aperto, come rivela il suo legame con il gruppo del Giannone. Di questo aveva fatto parte anche Alessandro Riccardi, uno dei protagonisti della polemica beneficiaria contro la Curia^MBiAfU - • • il. : _.;-T così inviso alla Chiesa che i suoi stessi funerali si sarebbero trasformati in occasione di polemica e di sfida. Poi c'era JeanBaptiste Rousseau, il poeta che avrebbe presentato al principe Eugenio i primi lavori di Voltaire. Più inquietanti, uomini come Hohendorf e Bonneval, che si erano mossi con indifferenza fra cristianesimo e islamismo e avevano aperti legami con i freethinkers inglesi e olandesi, e rimbalzava a Vienna quell'esprit de Spinoza, una delle tante versioni del Traité des trois imposteurs. Attraverso uomini internazionali come il principe Eugenio, Vienna non era solo una frontiera verso Oriente ma assumeva la rilevanza di uno spazio complesso dove si mescolavano libri, culture, religioni, etiche, progetti. Il principe finì iosvitabUmente per essere il referente, o perlomeno il tramite per molti di essi. La crisi della guerra di successione polacca era destinata a cacciare il Giannone da Vienna, a fargli perdere il riferimento a quelle biblioteche nelle quali aveva potuto trovare le prime linee per quella sua singolare proposta fra scienza e storia di attacco all'establishment cattolico. Un mondo in fermento, a Vienna come a Parigi, scenario ideale per uomini come Eugenio e Luigi XIV, contrapposti dalla storia e dalle radici culturali, ma pur così ricchi d'interessi comuni. Renzo Rossotti