L'incubo dell'avvocato di Vincenzo Tessandori

L'incubo dell'avvocato Filaste e il nuovo «giallo» L'incubo dell'avvocato S~I E anziché esser nato nella vecchia, immutabile, tetra Gran Bretagna sir Arthur Conan Doyle avesse I visto la luce nella ridente Italia, pochi si ricorderebbero di lui e del suo personaggio più riuscito: Sherlock Holmes. Non un detective come Maigret o Nero Wolfe o miss Marple o Hércule Poirot, ma «il» detective. Questo perché per una forma di singolare pudore o di snobismo nella letteratura italiana al racconto poliziesco è riservato uno spazio minimo. Quasi fosse disdicevole parlare di ricatti, rapine, furti, soprattutto omicidi. «Le ragioni di un atteggiamento del genere sono parecchie e tutte un po' discutibili», avverte Nino Filaste, 53, fiorentino, avvocato penalista con la vocazione per il romanzo giallo, o meglio, «scrittore con l'hobby dell'avvocato». Naturalmente, esagera: anni di lavoro nei tribunali di tutt'Italia gli hanno guadagnato stima fra imputati e giudici. Come lo apprezzano i lettori dei suoi thrilling. L'ultima storia è uscita pochi giorni fa. Il titolo è ispirato all'inquietante capolavoro dello svizzero Johann Heinrich Fiissli: L'incubo, conservato al Detroit Institute of Arts. «Un raro esemplare di giallo italiano Doc», l'ha definito Oreste del Buono che di storie gialle è grande esperto. Una storia ambientata nel mondo sommerso dei mercanti d'arte. Ma perché tanta diffidenza verso il racconto poliziesco? «Perché, dice Laura Grimaldi, gli italiani hanno il complesso del liceo classico», osserva Filastò. «Difatti esiste questa prevenzione anche nella cultura ufficiale che si identifica con la cultura scolastica per la quale il giallo "non" è letteratura, ma cultura di serie B. Il che è molto discutibile perché sul piano storico uno dei primi esempi, Il duplice delitto della rue Morgue di Edgar Allan Poe, è un racconto stupendo, un capolavoro della letteratura mondiale». Ma le ragioni di una diffidenza tanto radicata sono anche altre, prosegue Filastò: «Un'altra ragione è indicata da Alberto Savinio che in un saggio su Simenon del 1935 parla dell'ottimismo di maniera degli scrittori italiani. Per cui, essendo il poliziesco un genere che ha a che fare con la patologia sociale, fin dall'inizio si trova in rotta di collisione. E l'ottimismo di maniera ha condizionato spesso gli scrittori del genere». Eppoi il disagio del cittadino, avvocato o investigatore, che di fronte all'istituzione, si trova a fronteggiare «qualcosa di sconveniente». Ma i motivi del disinteresse diffuso sono anche altri. «Da aggiungere una ragione più tecnica: fin dall'entrata in vigore del nuovo codice, nell'ottobre '89, il meccanismo di raccolta degli indizi non era mai stato pubblico e, sia pure in parte, era inquisitorio e segreto. Questo ha sempre implicato una separazione dell'ambiente rispetto alla letteratura, al racconto e gli scrittori puri senza esperienza diretta del fenomeno, o si sono ispirati imitativamente al sistema anglosassone, talvolta proponendo racconti ambientati in America o in Gran Bretagna oppure, se in Italia, apparivano assolutamente improponibili. E quando tentavano di rappresentare una situazione italiana incorrevano in errori di prospettiva, errori tecnici che finivano per influenzare la scrittura filmica di questo genere». Ma oggi, finalmente, per le storie gialle, anche per quelle made in Italy, c'è un'attenzione maggiore e, sottolinea Filastò, «fatti importanti sono le trasmissioni televisive del tipo "Un giorno in pretura" o "Telefono giallo", mentre mi pare che gli sceneggiati o i film di genere poliziesco risentano di una mancanza di un substrato di base letteraria fondato sull'attendibilità e sull'esattezza del particolare tecnico, cosa che, al contrario, è caratteristica spiccata della letteratura anglosassone e francese. Per tutto questo, credo, il giallo italiano finora ha funzianato poco, anche se pare esserci un risveglio». La verità: la cercano l'investigatore, l'avvocato, il giudice. Ma non esiste una verità oggettiva, non è certa neppure la verità processuale, figurarsi le altre. «E' un principio durissimo da digerire, da noi dove il concetto metafisico di verità unica è ancorato a una particolare atmosfera culturale e filosofica», osserva lo scrittore-avvocato. «Il nuovo codice pare che abbia ab¬ bandonato questo antiquato concetto e anch'esso può contribuire a svecchiare un clima culturale e rendere così più fertile il terreno su cui può attecchire una letteratura poliziesca». Insomma, la verità è quello che si trova, non necessariamente quello che era. «Con ciò non intendo dire che il giudice sia diventato una specie di burattino, che si accontenta di quello che gli capita sotto mano, che sia una figura ambigua: semplicemente questo è un punto di vista più moderno e più serio perché un'indagine riguarda un fatto appartenente al passato, che non esiste più. E quindi la verità è il film del passato. E mettere a confronto le varie verità possibili è l'unico meccanismo conosciuto che funzioni. NeìYIncubo di signora una frase è illuminante: "La verità è parente alla lontana del processo. A volte si guardano in cagnesco fra di loro, come in certe famiglie per questioni di eredità". Certo, domani potremmo avere qualcos'altro, mettere in funzione la macchina del tempo e tornare al momento del fatto. Naturalmente, uno scrittore giallo scrupoloso finge l'ambiguità e per ciò deve mettersi in questa prospettiva: del resto, non c'è niente di più noioso di un racconto poliziesco che abbia situazioni di immobilità». Anche l'Italia è «nera» e non occorre molto per rendersene conto, asserisce l'avvocato. Le storie nere trovano cornici adeguate anche in Italia, come accadde e, magari, accade ancora per certi quartieri di Londra. «Non c'è una gran differenza, la storia del mostro, ma anche la vicenda cupa di Gigliola Guerinoni o l'assassinio di via Poma, stanno a dimostrare che un certo tipo di delitti, certe perversioni sessuali, non sono poi così lontani dal carattere italiano. Eppoi Firenze: con la sua colonia inglese, ha vissuto nel suo passato il contrasto fra morale vittoriana e quella derivata da costumi più liberati, anche da un punto di vista sessuale, e da questo contrasto son scaturite contraddizoni e fratture psichiche dalle quali derivano delitti del genere mostro. Di giorno in giorno Firenze assume un aspetto trilleresco abbastanza evidente, è una città nera, da contrapporre al tipo di città grigia, dove non accade mai niente, tipica della tanto ipotizzata provincia italiana». Non è quindi casuale che proprio a Firenze facciano i loro affari, o meglio i malaffari, i protagonisti dell'incubo. Ora Filastò già lavora a un prossimo thriller, ambientato sulla costa toscana. Ogni giorno dalle 5,30 alle 8 gioca con i suoi personaggi immaginari. Perché ogni storia è inventata, sottolinea, «anche se lo spunto è sempre reale, perché non si può inventare dal nulla». Anche Incubo ricorda un'antica vicenda avvenuta anni fa. Poi toccherà ai personaggi veri, i clienti, innocenti o colpevoli, che difende. Con ostinazione, ma così, per hobby. Vincenzo Tessandori