Troppi pompieri per spegnere il Concilio

Troppi pompieri per spegnere il Concilio Il noto teologo traccia un bilancio nel 25° anniversario della chiusura del Vaticano secondo Troppi pompieri per spegnere il Concilio 77 cardinale Hàring: perché gli sconfitti cercano la rivincita IO incontrato di nuovo nel monastero rcdentorista di Gars amm Inn, Bernhard Hàring, rinato Idopo avere ancora sfiorato la morte per ictus e infarto. Lucidissimo ed in forma, quest'uomo armato soltanto della sua fede e cultura e con le stimmate impressegli dal cancro oltre dieci anni fa, rappresenta una delle ultime testimonianze viventi di quelli che Albino Luciani chiamava «precurs .1 ed ispiratori del Concilio» (cfr. Camillo Bassotto: Il mio cuore è ancora a Venezia 1990 pag. 75). L'intervista-libro concessami poco più di un anno fa «Fede, Storia Morale», (Boria) tradotta in sette lingue, ha raggiunto in Germania la settima edizione, per cui Hàring rimane al centro del dibattito in corso. In piena ripresa (ha appena diretto un corso di esercizi spirituali per preti) accetta volentieri di ripensare al Concilio Vaticano II a 25 anni dalla sua chiusura, l'8 dicembre 1965. Il card. Koenig cinque anni fa mi disse che senza il Concilio nella Chiesa sarebbe stato un disastro. In occasione del 25° di istituzione del Sinodo, il card. Ratzinger ha affermato l'esigenza di chiudere i disastri provocati dal Concilio per le sue interpretazioni stravolte. A 25 anni dalla chiusura dellAssise ecumenica, quali sono le sue riflessioni? 10 sono convinto che il Concilio lungi dal provocare alcun male, prevenne in certo senso quelli successivi che covavano da tempo nella Chiesa proprio quale segno della sua malattia, e ne attutì la portata impedendo quell'enorme esodo difficilmente frenabile senza il Vaticano II. Un Concilio che risultò punto di riferimento positivo della stessa rivoluzione del 1968 che percorse tutto il mondo. Sono quindi d'accordo con 11 card. Koenig, mentre temo che persone come il Prefetto Ratzinger potrebbero oggi essere alla ricerca di quel revisionismo che conduca alla reiezione del Concilio, sulla scia di quella minoranza curiale che ne uscì sconfitta e che per tutto questo quarto di secolo ne ha sempre rifiutato lo spirito. Basti guardare oggi allo sviluppo di quel centralismo che vuole tutto sotto controllo, una vera e propria droga che aspira alla totale uniformità e che arrecherà certamente un gran male anche se non potrà significare il definitivo ritorno al passato». Il Concilio quindi è stato l'esempio di cosa significa il cambiamento necessario, nella fedeltà ai principi... E' esatto. Il successo del Concilio infatti è innanzitutto nella fedeltà. La Chiesa con il Concilio è stata fedele innanzitutto nella memoria Eucaristica con la Riforma liturgica; poi nella ricerca dell'unità per cui Gesù ha pregato, cominciando a liberarsi da tutto ciò che, estraneo alla Parola di Dio, trae la sua origine dalla Storia reale del papato, dell'antiriformismo e da tante altre strane tradizioni, e tendere così verso quella ri-unione di tutta la cristianità nella diversità. Mirabilmente, d'altra parte, il card. Garrone nel Sinodo straordinario cinque anni fa, ha descritto un tale processo come vera e propria conversione e purificazione del cuore. La Collegialità nel governo della Chiesa è stata una delle grandi novità introdotte dal Vaticano II. Giovanni Paolo II chiudendo l'ultimo Sinodo dei Vescovi ha escluso il carattere deliberativo dello stesso. Come può allora attuarsi il governo collegiale? Il Sinodo, deliberativo o meno, rappresenta una delle forme di quella Collegialità che certamente il Concilio ha reintrodotto nella Chiesa e che Giovanni Paolo I ha definito «prova e sigillo della cattolicità» (ivi pag. 127). Il contrasto in questi anni è stato proprio sul contenuto da dare a questa struttura tra chi ha visto il collegio quasi come un simbolo e niente e più - sicché è nata la tendenza perfino allo svuotamento delle Conferenze episcopali messa in atto dall'ex S. Uffizio -, e chi esige giustamente l'applicazione di quello che lei chiama esattamente governo collegiale voluto dal Concilio. Rileggendo in questi giorni i miei appunti redatti durante le sessioni conciliari cui non sono mai mancato, mi sono particolarmente soffermato sulla interpretazione che il card. Giuseppe Siri diede appunto della collegialità in uno dei suoi interventi in Aula: il Collegio riceve tutto dal Papa e niente il Papa dal Collegio! Una collegialità quindi a senso unico del tutto contraria alla formulazione, alle intenzioni ed alla visione chiara del Concilio, e che prescinde perfino dal Vaticano I i cui decreti sulla infallibilità vennero accettati unicamente perché risultò chiaro che, lungi dal parlare in isolamento, il Papa, prima di assumere su una questione di fede una decisione infallibile, avrebbe usato tutti i mezzi per accertarsi in proposito della fede della Chiesa. E' visibile purtroppo lo sforzo di alcuni ambienti di svuotare definitivamente la collegialità attraverso il controllo capillare di tutti i vescovi: si tratta però di una strada senza uscita né speranza. Occorre infatti ricordare che per un millennio la Chiesa cattolica è stata governata da una costituzione sinodale collegiale che sia le Chiese ortodosse che quelle riformate hanno conservato e che il cammino ecumenico aperto dal Vaticano II riporterà anche in quella cattolica. L'ecumenismo appunto fu una delle grandi finalità del Concilio che attraverso l'apposito decreto cancellò il concetto di ritorno degli altri al cattolicesimo. Dove siamo oggi? L'ecumenismo presuppone, come ha dichiarato senza remore il Concilio, anche una nostra conversione, sicché anche il papato deve continuare a riconoscere umilmente che non sempre il suo passato è stato conforme al disegno di Cristo, che la sua corresponsabilità nella divisione non deve più essere nascosta, mentre la sua odierna volontà deve essere quella di ritornare all'umile servizio di Pietro. Questo profondo esame di coscienza sta crescendo nella Chiesa ed ha come protagonisti la grande massa di fedeli di tutti i ceti, compresi i teologi, una massa che crede nell'unità, per cui pensare di poter tornare indietro rimane una pura illusione, significa pensare di andare sulla Luna. Dal Sillabo che significò condanna del moderno e della scienza alla «Gaudium et Spesi», la costituzione conciliare che per la prima volta riconobbe la positività della Storia. Questo ha cambiato la mentalità in questi 25 anni nella Chiesa? La «Gaudium et Spes» ha ancora un grande avvenire sotto la spinta della teologia della liberazione non soltanto dell'America Latina ma anche degli altri continenti, compresa l'Europa. Sta infatti tramontando definitivamente l'idea della Chiesa-torre, depositaria della verità, assediata dal mondo poiché ci si è definitivamente convinti sia della presenza anche di «pesci cattivi» nella rete di Pietro come della possibilità di quelli buoni fuori di essa. Circa poi il concetto di Mondo, il Concilio ha ben evidenziato quello cui si rivolge la sua simpatia ed attenzione, quello cioè dei poveri, degli emarginati, degli oppressi, degli sfruttati, delle culture nella loro pluralità senza che nessuna prevalga sull'altra, affermando la decisa contrapposizione verso quel mondo che usa e abusa della religione per il proprio potere, profitto, esaltazione. Il Concilio ha smascherato le lusinghe di un tale mondo, anche se non tutti ne hanno afferrato il senso. La Chiesa può essere evangelizzata dalle culture? Non c'è dubbio. Negli ultimi decenni mi sono dedicato in modo particolare allo studio della cultura della non-violenza che in certo senso costituisce il valore di una cultura. Ebbene, con il Concilio la Chiesa ha scelto in modo definitivo questa cultura senza più remore o distinzioni verso quel mondo che usa l'autorità ecclesiale a favore della ricchezza e della violenza. A questo proposito per esempio la congregazione dei redentoristi cui appartengo, dopo il Concilio ha preso per motto: Evangelizzare i poveri, essere evangelizzati dai poveri. La terza conquista del Concilio è stata la Dichiarazione della Libertà religiosa. Questa non deve significare libertà di coscienza anche all'interno della Chiesa per cui questa deve rispettare le diverse culture che implicano anche un diverso discernimento? i E' evidente che il mondo esige giustamente di poter verificare la realtà di una tale Dichiarazione dalla applicazione che noi stessi ne facciamo come modello di scelta comune, libera, rispettosa, feconda della verità. Per mezzo della fedeltà alla propria coscienza i cristiani si uniscono a tutti gli uomini per la ricerca della verità, recita la «Gaudium et Spes» che costituisce la più classica applicazione della Libertà religiosa. Si impone quindi inevitabil¬ mente un certo pluralismo che nel rispetto e nella profondità della fede rafforza la convergenza nel dialogo fino a soluzioni che non distruggano la diversità delle singole situazioni mondiali. Ha trovato applicazione la libertà religiosa? Per Lefebvre che non l'ha votata, si trattava di una eresia perché sconfessava il monopolio della verità nella Chiesa che con la scelta conciliare accettava al contrario il metodo della non imposizione. Ma la gran parte del popolo di Dio come delle religioni l'ha non solo accettata ma applicata. Soltanto l'Islam, ha ancora difficoltà perché, come la cristianità delle crociate, rimane tutt'ora monopolista della verità. Il pericolo oggi è insito nella possibilità che l'ex S. Uffizio si arroghi di nuovo di un tale monopolio che non possiamo certo accettare se appena riflettiamo sulla storia della Inquisizione romana e guardiamo al fallimento dei documenti preparati per l'ultimo Concilio. E' necessario, al contrario, che la Congregazione per la Dottrina della Fede divenga modello del metodo comunione-informazione, privilegi la ricerca, rispetti il dialogo con tutti, respinga qualsiasi monopolio o privilegio di verità. E' la Collegialità che potenzia il Magistero del Papa e dei Suoi collaboratori. Più diminuisce la comunione nella ricerca e nell'ascolto meno efficace risulterà il Magistero del vescovo di Roma. Nello sfondo di questa libertà, due rimangono i problemi centrali: la libertà di coscienza ed il problema delle nascite i cui documenti di questi anni non sembrano sviluppare la ricerca. Dalla ricerca sofferta di Paolo VI mi sembra si sia passati a certezze indiscutibili su problemi, al contrario, in evoluzione. L'«Humanae Vitae» rappresenta senz'altro un passo avanti in quanto, a differenza della «Casti Connubi» non criminalizza la contraccezione ma, consapevole com'è delle difficoltà obbiettive, puntualizza il cammino del mezzo meno violento, la programmazione delle nascite con la contingenza periodica. Paolo VI poi ha rispettato la posizione dei diversi episcopati che ebbero a evidenziare le difficoltà della gente di buona volontà, e quindi anche la libertà di coscienza di chi, dopo seria riflessione vede che nel suo caso il metodo non è applicabile senza correre rischi più gravi. Oggi al contrario si è affermata la tendenza a prese di posizione violente, del tipo Caffarra per intenderci, con conseguenze non certo positive. Se il Papa non saprà distaccarsi nettamente da un tale metodo ne soffrirà enormemente il Suo prestigio. Gianni Licheri Collegialità, rapporto con la modernità, ecumenismo: «C'è una minoranza che per un quarto di secolo ha sempre rifiutato quello spirito». Il disaccordo con le idee del card. Ratzinger Il cardinale Bernard Hàring Cardinali e teologi rit *-ante i lavori della seconda sessione del Concilio Vaticano II, concluso nel dicembre di 25 anni fa

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