Shevardnadze-Gorby, rottura totale

Shevardnadze-Gorby, rottura totale Un portavoce rivela: il ministro non sarà presente al vertice con Bush di febbraio Shevardnadze-Gorby, rottura totale Dissensi con Gorbaciov anche sulla politica estera Un collaboratore: le dimissioni pronte da un anno MOSCA DAL NOSTRO INVIATO Eduard Shevardnadze ha abbandonato la «squadra» di Gorbaciov per gravi dissensi con lo stesso Presidente sovietico, anche sulla politica estera? La risposta affermativa a questa domanda è divenuta scontata ieri; quando il portavoce del ministero degli Esteri, Vitali] Churkin, ha informato i giornalisti che la partecipazione del ministro degli Esteri dimissionario al vertice Urss-Usa del prossimo febbraio «non è assolutamente sicura». La decisione finale - ha aggiunto Churkin - «dipenderà da un prossimo incontro a quattr'occhi tra Gorbaciov e Shevardnadze», la cui data non 6 ancora fissata. Dunque Shevardnadze sembra spingersi fino al punto di rifiutare anche la proposta di rimanere in carica fino al vertice, mentre l'ipotesi di un ripensamento sulle dimissioni è stata ieri eliminata con un secco «no» dallo stesso portavoce ufficiale. La rottura con Gorbaciov assume proporzioni definitive. Il grido d'allarme pronunciato da Shevardnadze in Congresso, l'esplicito riferimento ad una imminente «dittatura», avevano indòtto gli osservatori a collegare le drammatiche dimissioni del ministro degli Esteri sovietico alla minaccia di una «svolta autoritaria» in politica interna. Tanto più che lo stesso Shevardnadze aveva voluto sottolineare, nel suo discorso-testamento, l'identità di vedute con Gorbaciov nella comune battaglia di cinque anni. Ma le rivelazioni delle ultime ore, lo scandalo della censura della popolare trasmissione televisiva Vsgliad che voleva mandare in onda, venerdì sera, l'intervista con due stretti collaboratori di Shevardnadze - gettano ora nuova luce sui retroscena. 1 due aiutanti del ministro degli Esteri - Teimuraz Stepanov e Serghei Tarasenko hanno rivelato ieri alla Komsomolskaja Pravda di aver saputo delle dimissioni la stessa mattina del 20 dicembre, giorno del discorso in Congresso di Shevardnadze. Ma - dice Stepanov «da un anno ormai mi aspettavo questa soluzione». Il terreno sotto i piedi del ministro degli Esteri era diventato scottante. «Il ministro non era più in condizione di influenzare la situazione. Per altro è interessante notare che le critiche al suo indirizzo concernevano proprio le stesse questioni per le quali Gorbaciov ha ottenuto il Premio Nobel». L'attacco contro Shevardnadze era dunque concentrato sulla politica estera e i due collaboratori decidono di parlare per smentire tutte le versioni d'altro genere che sono state diffuse dopo l'annuncio delle dimissioni. Reazione emotiva per le polemiche dei colonnelli? «Sciocchezze assolute», risponde Stepanov. Pista georgiana? Lo storico ex dissidente Roy Medvedev - ormai passato armi e bagagli nella squadra di Lukjanov - l'aveva avanzata subito denunciando prima, dalla tribuna, la «fuga» di Shevardnadze e liquidandolo poi, nei corridoi, con una frase sprezzante: «Bisogna impedirgli di tornare a Tbilisi come un eroe». Teimuraz Stepanov replica ora: «E' una stupidaggine totale. Shevardnadze è un ministro dell'Urss». L'autore dell'articolo afferma di avere testimonianza precisa dell'intervento diretto di Gorbaciov sul presidente della televisione di Stato, Kravcenko, per bloccare l'intervista ai due collaboratori di Shevardnadze. E anche questo tassello dimostrerebbe la preoccupazione del leader sovietico per una fuga di indiscrezioni che creerebbe ulteriori inquietudini in Occidente. Ma, cancellata Vsgliad, venerdì notte, un'altra bordata è partita dagli schermi televisivi. Nel corso delle notizie dell'altro popolare telegiornale, TSN, lo speaker, incurante dei divieti, ha sventolato sotto il naso di milioni di spettatori un articolo delle Izvestija del 25 settembre scorso, dove si rivelava esplicitamente l'esistenza di un vero e proprio braccio di ferro tra il ministero della Difesa e quello degli Esteri nella fase più delicata della preparazione della ' Conferenza di Parigi sulla Sicurezza e la cooperazione europea (Csce). «Sono forse qui gli antefatti delle dimissioni di Shevardnadze?». L'articolo, firmato da Stanislav Kondrashov - e titolato «Un difficile addio ai carri armati» - era una violentissima denuncia del comportamento dei militari sovietici nella trattativa di Vienna per la riduzione delle forze e armi convenzionali in Europa. Kondrashov - evidentemente bene informato - rivelava l'esistenza di un dissenso radicale nella delegazione sovietica. «La nostra posizione sul tema della "difesa sufficiente" non è difendibile in modo convincente. Essa ha provocato una dura reazione di tutte le delegazioni della Nato e del Patto di Varsavia. Mosca si è trovata completamente isolata». Cosa chiedevano i generali della via Frunze? Di mantenere in funzione non meno del 40% dei carri armati, mezzi blindati e sistemi di artiglieria. E si confermava la giustezza delle accuse occidentali: l'Urss aveva promesso di modernizzare solo 4000 carri armati, ma stava trasferendo in gran fretta oltre gli Urali una gran parte dei 25.000 carri (i più moderni) destiniti alla liquidazione. Il tutto - precisava l'autore dell'articolo - «in armonia con le tesi del ministero della Difesa, approvate dal vertice politico e impartite come direttive alla delegazione sovietica ai negoziati di Vienna». Chiarissimo il riferimento a Gorbaciov. Altrettanto chiaro che Shevardnadze stava già per essere abbandonato a settembre. La spiegazione delle Izvestija non poteva essere più esplicita: «La posta in gioco è alta. Ma spile decisioni di politica estera pesano le condizioni interne. Gorbaciov, evidentemen¬ te, si trova tra due fuochi. Da una parte la pressione dei vertici militari, il cui sostegno gli è vitalmente necessario nella situazione estremamente critica in cui si trova.... dall'altra parte gli effetti politici sono più importanti delle considerazioni strettamente militari». In quella fase Gorbaciov riuscì a tenere la via di mezzo e Parigi fu salvata. Ma il precipitare della crisi interna ha portato il disaccordo con Shevardnadze oltre il limite di rottura. La sorpresa di Gorbaciov per le dimissioni del suo ministro non era dunque del tutto sincera. Il primo a sapere cosa stava bollendo in pentola era proprio lui. Le conseguenze sono imprevedibili. A diciassette giorni dall'ultimatum all'Iraq, l'Amministrazione americana ribadisce la sua convinzione che Gorbaciov mantiene il controllo sulla politica estera sovietica. Ma Saddam Hussein gioisce per le dimissioni di Shevardnadze, «docile strumento» nelle mani americane. E quando l'accademico Oleg Bogomolov - uomo saggio e moderato - dice (al settimanale tedesco Bild am Sonntag) che la «linea autoritaria» imboccata da Gorbaciov può «portare il Paese alla guerra civile» e a «un esodo massiccio di sovietici verso l'Europa», al «caos e alla disgregazione dell'Urss», l'occidente ha più d'un motivo per preoccuparsi. Giuliette Chiesa Shevardnadze annuncia ai deputati la decisione di dimettersi Con Gorbaciov frattura insanabile