Menem perdona i torturatori di Vincenzo Tessandori
Menem perdona i torturatori Indulto ai militari della dittatura, protestano i famigliari dei desaparecidos Menem perdona i torturatori Scarcerato il generale Rafael Videla Graziato anche il capo dei Montoneros BUENOS AIRES DAL NOSTRO INVIATO Le sorprese di Carlos Menem, dicono, non sorprendono più e ora una Buenos Aires scossa ed emozionata aspetta la conferma ufficiale della grazia agli assassini in divisa già annunciata dal Presidente. E' una città, questa, che vorrebbe dimenticare ma sembra condannata al ricordo. Così, per volontà del Presidente, forse costretto a pagare debiti contratti con una parte delle forze armate e preoccupato di mantenere un'apparenza di potere, vengono liberati i generali che condussero la «guerra sporca» passata attraverso una repressione feroce, le torture, i morti ammazzati, i «desaparecidos». «Una notizia che tutti speravano, questa dell'indulto», ha commentato Menem sordo all'indignazione e alle proteste. E ha fatto di più: ai suoi giuristi ha chiesto un provvedimento capace, come ha sottolineato, di evitare «qualsiasi possibilità di impugnazione». I generali erano stati processati e condannati da un tribunale civile per reati contro i diritti dell'uomo. Ora torna libero Jorge Rafael Videla che con un «golpe» nel 1976 era subentrato alla Casa Rosada a Isabelita Martinez, vedova di Juan Domingo Perón, vecchio «Jefe» e santone dei «descamiciados». Lo avevano condannato all'ergastolo nel pomeriggio del 10 dicembre 1985: è rimasto formalmente in carcere 1844 giorni. Libero anche l'ammiraglio Emilio Eduardo Massera, uno della «junta», iscritto alla loggia P2 di gelliana memoria: in verità per l'«almirante» i cancelli della prigione si erano aperti già un paio d'anni or sono, sia pure «molto ufficiosamente». Graziati anche Roberto Viola,' subentrato a Videla, e il brigadiere dell'aria Orlando R. Agosti, e perdonati anche Ramon Camps e Pablo Ricchieri, capi della polizia nella stagione del terrore. E del provvedimento beneficerà anche il generale Carlos Suarez Mason, 66 anni, arrestato nel 1988 negli Stati Uniti ed estradato qui in Argentina dove lo attendeva un processo per 39 capi d'accusa che riguardano omicidi commessi durante la dittatura militare: processo mai celebrato. Forse per mantenere, finché è possibile, gli equilibri di galera esce anche Mario Eduardo Firmenich, capo dei Montoneros, terroristi d'ispirazione peronista. Era stato arrestato nel 1984 e condannato a 30 anni. Furono loro, i Montoneros, i protagonisti degli episodi più clamorosi della guerriglia argentina. Nel 1970 rapirono, «processarono» e giustiziarono l'ex Presidente, generale Pedro Eugenio Aramburu. La storia di quell'omicidio l'ha raccontata proprio Mario Firmenich, capo del commando. Nelle mani dei guerriglieri, nel '74, finirono i fratelli Jorge e Juan Bora, ricchissimi finanzieri della ditta Bunge y Bora. Fu un sequestro per autofinanziamento. Si dice che parte del riscatto, circa sessanta milioni di dollari, sarebbe a Cuba, ormai irrecuperabile, e parte sarebbe servito a finanziare l'ultima campagna elettorale del candidato peronista. Menem, per l'appunto. Cosa, naturalmente, smentita dalla Casa Rosada. Con la liberazione dei generali tornano la collera, i fantasmi di quei giorni, il ricordo dei cimiteri clandestini, dei luoghi di tortura disseminati in tutta l'Argentina. I militari, ha stabilito la «Comisión nacional sobre la desaparición de personas», nella «guerra sporca» avevano pianificato le fucilazioni di massa e di «usare la morte come arma politica». Menem ha sorvolato su tutto. «Scenderemo in tutte le piazze e le strade dell'Argentina per protestare e per chiedere la verità», hanno scritto al Presidente i gruppi per i diritti umani e le madri di plaza de Mayo. Ma lui, il Caudillo di La Riqja, pensa già ad altro. Pensa al golpe prossimo venturo, il quinto dal 1988, annunciato ieri dalla stampa che ne indica anche la data: gennaio oppure in autunno, forse aprile. E vengono suggeriti pure i nomi dei capi possibili: i generali Jorge Soria, David Domini e Anibal Laino. Dunque, la vittoria nell'insurrezione di dicembre non pare decisiva. Il malessere dei militari va oltre sterili motivazioni nazionalistiche: è profondo, aggravato da deplorevoli condizioni economiche. All'ultima insurrezione ha partecipato il 2,5 per cento dei cittadini in divisa, si è sottolineato, e oltre a 77 civili in carcere ora ci sono 567 sottufficiali e 33 ufficiali: per cinque, il colonnello Mohamed Ali Seineldin in testa, l'accusa aveva chiesto la pena capitale e secondo un sondaggio il 72 per cento degli argentini sarebbe stato favorevole all'esecuzione. Ma poiché l'accusa è di «ammutinamento in concorso ideale con la ribellione» e non di puro e semplice «ammutinamento» si ritiene che non ci sarà pena di morte. Lo stesso Menem, che più volte ha invocato la pena capitale, ora ripete: «Mai più fucilazioni, nunca mas». Un nuovo gesto di non disinteressata generosità. Vincenzo Tessandori fjf Il presidente argentino Carlos Menem
Luoghi citati: Argentina, Buenos Aires, Cuba, Isabelita Martinez, Stati Uniti
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