Il «delirio» degli psichiatri e l'appetito dei giornalisti

7/ «delirio» degli psichiatri e l'appetito dei giornalisti 7/ «delirio» degli psichiatri e l'appetito dei giornalisti metodi di choc, in particolare contro quello elettrico, pure esaltato un tempo come gloria italiana; oggi si sa che per anni gli psichiatri sono stati incapaci di distinguere i sintomi della malattia da quelli iatrogeni dell'elettrochoc. Un altro aspetto di questo «delirio interpretativo» era l'affermare che serie di applicazioni del suddetto espediente «terapeutico» non potevano essere avvertite dal paziente se posto in narcosi e non informato, mentre in realtà il soggetto, se non era un melancolico, si ritrovava alla fine durevolmente confuso, alterato nell'architettura muscolare, disarmonico nella psicomotricità e impaurito: l'elettrochoc è stress (Barucci '51), causa abbattimento (Casacchia), ammanco affettivo con anafrodisia, frigidità (H. Baruk), di cui il paziente soffre (altro che apatia), danni alle funzioni tonogene dell'encefalo, sindrome extrapiramidale, respirazione cronicamente deficitaria e polmone schiacciato in certi casi ecc.. Fedele Florio Barbania Canavese (Torino) Auguri a Saddam. a Bush e Gerhaciòv E' tempo di riflessioni, in questo periodo dell'anno che volge lo sguardo al 1991, poi sarà 2000, cioè XXI secolo. Lo stordimento dovuto a una velocità centrifuga e non periferica porta a non considerare il significato profondo, oserei dire vicino alla totalità, che il Muro di Berlino, Saddam Hussein, gli extracomunitari in Europa rappresentano, anzi sono. E' una sensazione quasi fisica, non solo intellettuale. Tutto precipita in breve tempo, e per gli uomini è : difficile orientarsi. Forse, nel 1991, sarò accompagnato dalla pubblicità negli ascensori e dirò agli amici che sono fortunato ad abitare al piano rialzato. Per molti che come RISPONDE O.doB. partenenti al Vecchio Mondo risulta superato almeno in questa circostanza. Se davvero il 15 gennaio, o prima o dopo, si arriverà al peggio, «andremo al macello» senza capire bene il perché. Potrebbe anche darsi che il semplice, brutale «perché» non consista nella necessità di salvaguardare l'indipendenza di uno Stato feudale come il Kuwait, ma nel fatto che la lunga pace mondiale si è ormai corrotta in un tal numero di conflitti locali o comunque di focolai di conflitti ulteriori e che, quindi, s'imponga un pretesto unificatore. Caro O. d. B. una volta ti ho scritto a Linus per rimproverarti qualcosa, ma ricordo poco di vent'anni fa, perché era tutta una confusione. Allora ero una figlia che non capiva il mondo in cui le toccava vivere. Oggi sono una madre che lo capisce ancora meno. Ho un figlio nel Golfo Persico. Mi ribello a che la televisione nel giulebbe delle feste chiami i militari laggiù dislocati «i nostri ragazzi». Ragazzi li dovremmo poter chiamare solo noi genitori, non quelli che li vogliono mandare al macello. Laura C, Roma GENTILE signora Laura, di solito tengo a che queste lettere al giornale siano regolarmente firmate. Ma, dato che lei ha un figlio sotto le armi, non vorrei proprio che le sue intemperanze potessero nuocergli. Non ricordo neppure io per cosa mi abbia potuto scrivere allora quando dirigevo quell'inquieto giornalino, ma non dubito che fosse per rimproverarmi. La rubrica della corrispondenza è ■fatta per consentire ai lettori di sfogarsi, di provarsi a rettificare gli errori veri o presunti della testata preferita oltreché, s'intende, del mondo intero. L'espressione «mandare al macello», forse, è un po' antiquata. E' un concetto da prima guerra mondiale, che può valere ancora per gli Stati Uniti che continuano a mandare i loro soldati a combattere e morire in tutto il mondo, ma che per noi ap- Buonsenza al ma Dachau-Buchenwald il treno della morte Sono uno dei pochi sopravvissuti ai campi di prigionia tedeschi K Z (denominati anche «di sterminio» per i noti motivi). Sono stato ospite a Dachau e Buchenwald. La più terribile delle esperienze da me vissute in guerra riguarda un trasferimento in treno, in Germania, con carri merci (molti dei quali aperti) dal campo di Buchenwald al campo di Dachau. Il trasferimento ebbe la durata di ventuno giorni, durante i quali ci venne dato da mangiare tre volte. Del bere, è meglio non ricordare. Ogni mattina aprivano il carro e toglievano via i morti. Durante quei giorni si stabilirono, fra un gruppo di noi, dei sentimenti incancellabili. Da allora li cerco, ma non sono ancora riuscito a ritrovare tutti i diciotto che eravamo, o le loro famiglie. Ecco perché sono costretto a rivolgermi a La Stampa, chiedendo scusa per 1'«intrusione», ma con la speranza di vedere pubblicato questo mio appello a coloro che si trovavano su quel treno in quei giorni, dal 5 aprile al 25 aprile 1945. Dante Benedetti Civitanova Marche (Macerata) Il «trattamento testi» non è l'italiano Di fronte alla notizia che nella nuova scuola secondaria superiore l'insegnamento dell'italiano si chiamerebbe «trattamento testi», i lettori de La Stampa del 22 dicembre saranno rimasti sbalorditi e avranno pensato che la commissione (della quale sono il coordinatore) abbia perso il senno. In realtà, l'articolista (anonimo) e il solito sfrenato titolista hanno preso un abbaglio: il «trattamento testi» è uno specifico insegnamento dell'indirizzo «economico» e riguarda l'impiego delle procedure e delle