«Sono dandy e assassino» di Francesco Vincitorio

Capucci, i cavalieri le armi e la moda Vienna: la mostra dello stilista nel museo Capucci, i cavalieri le armi e la moda EVIENNA A mostra dello stilista Roberto Capucci, aperta al Kunsthistorisches Museum, rimarrà memorabile, non soltanto per i cultori dell'alta moda. Il merito principale spetta al direttore dell'Armeria Imperiale che ha esposto i bellissimi abiti accanto alle armature antiche, in prevalenza del '500 e di produzione italiana. Tale accostamento genera nel visitatore una serie di riflessioni. Vien fatto di pensare cosa ne avrebbe cavato il filosofo Georg Simmel, autore del famoso libretto La moda, pubblicato nel 1895, cioè negli stessi anni in cui il Kunsthistorisches Museum di Vienna venne costruito. Negli ultimi tempi, mostre di stilisti nei musei ce ne sono state parecchie. Per limitarci a quelle in corso: Mademoiselle Chanel al Museo di Bunkamura a Tokyo e il Teatro della moda, con abiti di Lanvin, Balenciaga, Schiaparelli ed altri, al Metropolitan Museum di New York. Ma forse nessuno più di Capucci era adatto per la geniale iniziativa viennese. Le antiche armature conservate a Vienna erano, per lo più, da parata o da torneo. Studiate in modo da dare, esemplarmente, maggiore imponenza al personaggio che le indossava. Con eleganti decorazioni incise o a sbalzo, niellate o ombreggiate a punzone, in cui spesso ricorrevano i «lacci d'amore» e motti connessi. In definitiva, più che armi guerresche, modelli di comportamento. Basta riandare alla produzione di Capucci, fin dall'esordio-rivelazione nei Fashion Shows di Giorgini a Firenze, nei primi Anni Cinquanta, per avere la conferma di curiose affinità con tali armature. Infatti, i suoi modelli sembravano pensati per tornei amorosi. Egli mirava, fin da allora, a trasformare gli abiti in modelli di vita. Ideati con molto studio, confezionati con cura in ogni dettaglio, sono sempre stati un puro godimento estetico. Ma soprattutto, la veste delle sue idee, la trasformazione della donna in una ideale scultura. Significativamente, uno dei primi fotografi delle sue collezioni fu Ugo Mulas, che veniva chiamato «il fotografo degli scultori». Né va dimenticata la sua formazione all'Accademia di Belle Arti di Roma e le esperienze a Parigi, a fianco dei mostri-sacri della haute couture. Nonché il suo bisogno, via via crescente, di poter creare in piena libertà, senza le scadenze delle due tradizionali «passerelle» annuali. Diciamo, uno stilista aristocratico, che ammette l'esistenza di linee diverse della moda per le differenti scale sociali. Ma, per quanto lo riguarda, ha scelto la linea «alta». Non si cura delle possibilità di creare abiti riproducibili in serie, pensa che «vestire una donna sia un rito, una magia». Insomma, crea ideali modelli di esistenza. I quali, come in una piramide, si propagheranno fino alla base, coinvolgendo tutta la società. Dunque, compiti diversi per la moda italiana che può così continuare a giocare un ruolo egemone. Fu quanto accadde nel Rinascimento, quando gli armaioli, specie lombardi, conquistarono l'egemonia europea. Non c'era grande personaggio in Europa che non ricorresse a loro per parate e tornei importanti. Una maestria unanimemente riconosciuta. Una macchina produttiva perfetta, un'alta specializzazione e organizzazione di lavoro, una rete commerciale efficientissima. Alcuni storici vi hanno ravvisato il prototipo dell'impresa moderna. Con Milano centro propulsore e Brescia che contava cinquecento armerie e si difendeva dalle contraffazioni con bolli e marchi. Mentre il Ducato di Mantova eccelleva per le armature, usate per nozze e doni regali, di altissima qualità. Riflessioni che nascono spontanee nel visitatore. Senza contare il piacere di confrontare gli innumerevoli particolari degli abiti di Roberto Capucci e quelli delle armature di gala, per esempio, di Carlo V o Ferdinando d'Asburgo. Incuriositi dai molti strati, dai cento colori, del modello capucciano «Bouganville», che si apre armoniosamente con i movimenti del corpo. O dalle armature dette «spigolate», di moda al tempo dell'imperatore Massimiliano I. Sono testimonianze di una moda che, per ragioni intrinseche alla sua stessa natura, muta in continuazione. Rimanendo sempre, come diceva Georg Simmel, «una forma sociale di ammirevole utilità». Francesco Vincitorio Un modello del 1989 esposto a Vienna