IL REALISMO DI TAVERNIER

IL REALISMO DI TAVERNIER CINEMA IL REALISMO DI TAVERNIER «I miei vicini sono simpatici» nella personale del regista E M in programma dal 14 al * 23 dicembre, nella retrospettiva completa di Bertrand Tavernier che il Museo del Cinema ha in caertellone sino al 6 gennaio, la «prima visione» di un film del 1977 intitolato in originale «Des enfants gatés» e in italiano «I miei vicini sono simpatici». E' la storia di un regista in temporanea crisi creativa che, ritiratosi nella presunta calma di un appartamento della banlieue parigina per lavorare, si ritrova suo malgrado coinvolto in un'occupazione inscenata dai condomini infuriati per gli sfratti ricevuti. Pur riluttante, finisce con 10 stabilire rapporti di complicità con il comitato degli inquilini e, in particolare, con una ragazza disoccupata, ma la separazione finale non lascia molte illusioni sulla sua reale volontà di cambiamento. Tematicamente, il film mette a fuoco alcune delle principali preoccupazioni dell'autore: tra queste, la fascinazione reciproca di personaggi che tutto sembrerebbe opporre (l'intellettuale e il proletario in questo film, 11 giudice e l'assassino, la vittima e il carnefice in altri) e l'irriducibilità delle barriere sociali. Ma non è solo per ragioni tematiche che il film può essere letto come una cartina di tornasole di tutto il cinema di Tavernier. Anche formalmente, per il tentativo di conciliare strutture commerciali e cinema «d'intervento sociale», esso si presta a fornire spunti di riflessione sull'opera complessiva dell'autore. Dapprima critico militante sulle pagine della rivista «Positif», tra i più acuti analisti del cinema americano classico (memorabili i suoi interventi di celebrazione del talento di registi come Losey, Boetticher, Walsh, Ulmer, Parrish e il volume «Trente ans de cinema a- méricain», scritto in collaborazione con J.-P. Coursodon), poi autore di cortometraggi e sceneggiature di un paio di film d'azione, Tavernier racconta di aver maturato la decisione di passare alla regia grazie all'incontro con Riccardo Freda, in occasione del film «Agente 777 missione Summergame» (gli restituirà, in un certo senso, il favore facendo lavorare Freda sul set di «Il quarto comandamento», nel 1988, e dedicandogli il film). L'esordio, nel 1974, con «L'orologiaio di Saint-Paul» è di quelli che fecero discutere: per l'attenzione molto precisa ai luoghi dove si situa l'azione (una costante del suo lavoro), per la finezza nel disegno dei rapporti complessi fra i personaggi, per un certo schematismo dimostrativo anche, di cui Tavernier non riuscirà mai a liberarsi completamente. Ma, soprattutto, per aver chiamato a scrivere la sceneggiatura e i dialoghi del film la famosa coppia Aurenche e Bost: quegli stessi, cioè, che Frangois Truffaut aveva preso a bersaglio nel famosissimo saggio «Una certa tendenza del cinema francese», che costituisce il più radicale atto d'accusa contro la cosiddetta «tradizione della qualità» e l'atto di nascita «teorico» della Nouvelle Vague. Rivalutando precisamente quella tradizione, Tavernier definiva una volta per tutte le frontiere e i riferimenti del suo cinema, con una scelta di campo discutibile ma coerentemente perseguita: l'attenzione per la psicologia dei personaggi, la priorità della sceneggiatura sulla messa in scena, il predominio dei dialoghi sull'immagine. In una parola, il recupero della dimensione letteraria e romanzesca del cinema, che lo colloca nell'ambito di quella tradizione del realismo borghese che le ondate degli Anni Sessanta e Settanta sembravano aver spazzato via e che Tavernier ha invece contribuito inaspettatamente a rivitalizzare. Un realismo di fondo tutt'altro che banale e schematico, che nei suoi film più riusciti («L'orologiaio di Saint-Paul», «Che la festa cominci», «La morte in diretta», «Colpo di spugna», «Round Midnight», «La vita e nient'altro») produce analisi caustiche e non riconciliate dei rapporti umani e sociali, ma che talvolta tende a stemperarsi in bilanci esistenziali nei quali la raffinata descrizione del fascino discreto della borghesia sembra prevalere sul distacco critico e analitico («Una domenica in campagna» e «Daddy Nostalgie»). Alberto Barbera Bertrand Tavernier foto Grazia Neri Sotto Sabina Regazzi in «Maicol» di Mario Brenta