non tutte rose e fiori le polizze sulla vita

Non tutte rose e fiori le polizze sulla vita RISPARMIO Non tutte rose e fiori le polizze sulla vita ON l'avvicinarsi del 31 dicembre i venditori dipolizze vita hanno intensificato i loro sforzi. Uno dei loro argomenti spesso vincenti è infatti la deducibilità fiscale per il 1990 dei premi versati entro fine anno. La problematica delle assicurazioni sulla vita è però più complessa e trascende la pura e semplice possibilità di inserire una deduzione in più nel quadro P del modello 740 per la dichiarazione dei redditi. A sentire i venditori porta a porta e gli agenti di assicurazione non solo la previdenza privata sarebbe tutta rose e fiori, ma addirittura rappresenterebbe il toccasana per i problemi pensionistici degli italiani. Per altro da più parti incominciano a levarsi voci, anche autorevoli, che mettono in dubbio che tutto ciò sia vero. In realtà sui difetti delle polizze vita si potrebbe scrivere un libro, limitandosi ad alcune osservazioni, centrali, su quelle proposte con più insistenza e con le argomentazioni più capziose. Il discorso verte cioè sulle cosiddette forme di previdenza integrativa, o pensioni di scorta (e qui i propagandisti del settore sanno ricorrere alle espressioni più accattivanti). Non intendiamo quindi trattare le classiche assicurazioni contro il rischio di morte, bensì solo quelle per il caso di vita. E fra esse le più diffuse, cioè quelle rivalutabili di capitale o di rendita differita. Sono quelle polizze che, a fronte dei premi versati, danno diritto a un capitale o a una rendita per esempio dopo 15 anni, se l'assicurato sarà ancora in vita. E danno diritto ai premi versati, se muore prima. Il capitale finale sono rivalutati annualmente in funzione del rendimento di una gestione composta di norma quasi al 100% di titoli di Stato e obbligazioni in lire. Il discorso per altro è generale, indipendentemente dal fatto che si tratti di polizze di imprese assicuratrici pubbliche come l'Ina o di compagnie private tradizionali come le Generali, che siano collocate da agenti di vendita, come per la Fideuram Vita o anche da banche come il San Paolo. Una prima critica, sostanziale, è che si tratta di contratti quasi del tutto privi di contenuto assicurativo. L'assicuratore paga all'incirca la stessa cifra, in termini finanziari, sia che l'assicurato viva fino alla fine della polizza, sia che muoia prima. Ciò rende molto facile la vendita di tali assicurazioni perché apparentemente uno non ci rimette mai. Il che è simpatico, ma tutt'altro che ovvio in ambito assicurativo, dove vige invece una logica diametralmente opposta: in molti casi si paga senza ottenere nulla per aver diritto a incassare in altri casi. Fra l'altro le compagnie d'assicurazione in genere hanno al loro interno tutte le competenze per confezionare ìffrire delle assicurazioni ef- com e off fettivamente per il caso di vita, e non solo dei marchingegni per ripartire fra sé, i propri agenti e gli assicurati la deducibilità fiscale dei premi. Sarebbe quindi auspicabile che anche in questo settore gli assicuratori svolgessero il ruolo che è loro proprio (e di nessun altro). Cioè, nella sostanza e non solo nella forma, il ruolo di assicuratori. La seconda critica di fondo riguarda la sicurezza. Quando si parla di soldi, di rendimenti finanziari come di pensioni, quello che conta è il loro potere di acquisto. Ed è proprio qui che le varie assicurazioni per il caso di vita sono vulnerabilissime. Nessuna, a quanto risulta (e sarebbe bello essere smentiti) garantisce ciò che conta. Nessuna infatti assicura la conservazione integrale del potere d'acquisto delle somme versate, foss'anche a rendimento reale pari e zero. A chi per esempio ha adesso 40 anni ed è disposto a versare premi assicurativi per i prossimi vent'anni, non serve nulla sapere (o meglio supporre) che all'età della pensione otterrà una rendita di2o5 milioni al mese, quando in termini reali queste cifre potrebbero corrispondere anche solo a 50 o 100 mila lire di oggi. Certo che se l'inflazione resta ai livelli attuali e soprattutto se i rendimenti obbligazionari restano nettamente più alti, problemi non ce ne saranno. Ma non ce ne saranno neanche se uno tiene in Cd i soldi che ha da parte. Il vero pericolo è un'inflazione devastante che distrugga il valore reale dei titoli di Stato e delle obbligazioni. Perché è proprio dalle obbligazioni e dai titoli di Stato che dipendono i capitali e le rendite cui queste polizze danno diritto. Sul fatto che questo rischio sia molto basso si può tranquillamente convenire. Sono però le stesse imprese assicuratrici che dimostrano coi fatti di non ritenerlo nullo. Se lo escludessero non avrebbero nessuna ragione per non garantire appunto il potere d'acquisto del capitale (o della rendita) finale. Ciò che viene garantito è in genere un rendimento del 4% all'anno. Ma un rendimento nominale, a lungo termine, non significa nulla. E soprattutto non significa quasi niente la garanzia di un 4% all'anno. Essa comincerà a diventare significativa quando i tassi dei Bot saranno scesi sotto il 3%. Ne possiamo quindi riparlare, forse, fra 50 anni. Resta l'aspetto fiscale, che di per sé sarebbe secondario. Nessuno si sottoporrebbe a un intervento chirurgico solo per poterne dedurre il costo, senza nessuna indicazione medica. Nel campo delle assicurazioni sulla vita la generosità del fisco può essere significativa da rendere convenienti alcune polizze, al di fuori di ogni finalità assicurativa. Beppe Scienza iza^J

Persone citate: Beppe Scienza

Luoghi citati: San Paolo