Il futuro ha un suono antico di Alberto Gedda
Il futuro ha un suono antico Davvero la musica leggera può ormai contare solo sui vecchi successi? Il futuro ha un suono antico Winwood: «Tecnologia senza più cuore» Cantate, cantate pure: nulla resterà. Davvero, parafrasato, lo slogan per la musica «leggera» degli Anni Ottanta potrebbe essere questo? Sembrerebbe proprio di sì. E non tanto per il continuo revival nostrano che s'avvita su se stesso (è nuovamente tempo di nostalgia per «C'era una volta il festival») ma per la tendenza ormai consolidata della musica internazionale. Se per l'anniversario della morte di John Lennon le radio del mondo, alla stessa ora, hanno trasmesso «Imagine» provocando brividi e pianti a tutte le latitudini, lo stesso avviene per i Doors di Jim Morrison mentre la raccolta dei successi di Jimi Hendrix è già nelle hits internazionali con «Hey Joe» divenuta popolarissima fra i più giovani. Stessa cosa fra le mura domestiche: gli adolescenti sognano con la «Rimmel» del De Gregori ritrovato nei suoi tre lp dal vivo, saltando così tutto il decennio del¬ l'ovvietà e dell'apparenza appena concluso. «E con che cos'altro potrebbero sognare? - si chiede Michele Serra -. In giro ci sono sempre loro, Dalla, De Gregori, Guccini... e brutte imitazioni che non possono che far preferire gli originali». Difficile, infatti, ipotizzare una «memoria» per i vari Mango, Scialpi, Carboni così inutilmente uguali nel loro minimalismo. Allo stesso modo è certo che dimenticheremo i bellocci d'oltre confine calati da colonizzatori, come i Duran e soci vari. E' una questione di linguaggi (di valori?) in cui si ritrovano non solo quanti erano adolescenti vent'anni fa ma soprattutto chi lo è oggi: perché, se è vero come sostenevano i bizantini che «tutto è già stato detto», si tratta di dirlo nel modo giusto. Cosa che sembra aver fatto il rock (e il beat e il pop, distinzioni per critici spocchiosi) degli Anni Sessanta e Settanta. Così la raccolta dei Led Zeppelin «Remasters» è diventata un cult-disc: 26 pezzi bellissimi rimasterizzati da Jimmy Page che saranno disponibili sul mercato sino al prossimo 31 marzo dopodiché le matrici saranno distrutte. Successo anche per le collezioni degli Who di Pete Townshend, dei Bee Gees, del citato Hendrix per arrivare ai più recenti Police di Sting, mentre Jimmy Sommerville rifa «To Love Somebody» romantico hit dei Sessanta da noi noto nella versione dei Bisonti («Così ti amo»), «Direi che tutto questo è logico: la musica in questi anni si è fatta sempre meno musica e sempre più business - dice Steve Winwood, ex leader dei Traffic, presentando il suo ultimo album "Refugees of the Heart" -. C'è una tecnologia esasperata che punta tutto sulle macchine e non lascia posto al cuore e alla testa dei musicisti: i giovani questo l'hanno capito e se ne sono stan- cati perché la perfezione annoia senza pulsazione. Negli States c'è una grande rivalutazione di tutta la bella musica di venti, trent'anni fa che non vuol dire semplicemente "revival" ma riprendersi delle buone vibrazioni anche se è chiaro che non tutta la musica dei Sessanta e Settanta è stata buona musica». Adriano Celentano pronosticava che, fatti tre passi avanti, sarebbe crollato il mondo beat. E' giunto il tempo della predizione del guru di via Gluck? In parte: la ricerca esasperata del mercato s'è basata per anni sulla «disco» onnivora che ha banalizzato tutto, mentre nelle discoteche son tornati i Rolling Stones, Mamas and Papas, Small Faces, Byrds... e anche il furbacchione Celentano esce con un album dei suoi vecchi successi. Insomma, il futuro della musica è destinato al passato in un eterno revival che ripropone se stesso? «Chiaramente mi auguro di no - risponde Winwood - perché la ricerca deve proseguire, ma su basi solide: la buona musica si è sempre evoluta seguendo matrici comuni, dal blues al jazz al rock, e quindi questo cammino deve continuare in modo intelligente e sensibile. I musicisti devono poter comporre e suonare senza l'assillo degli affari, dei suoni computerizzati, del prodotto perfetto da vendere e il pubblico deve saper scegliere fra la musica confezionata e quella vera con il metro della propria sensibilità. Ecco, io credo molto alla sensibilità della gente: che è la stessa, da sempre, e non è un fatto di revival». Si tratta, insomma, di sentire con il cuore come lo stesso Winwood propone nel suo ultimo disco con otto belle canzoni, trascinanti e corpose segnate dal rhythm and blues: contemporaneamente è uscito un singolo scritto con Jim Capaldi che dei Traffic fu batterista, «One and only man». La strada è ancora lunga, dunque, e il «sole, lassù, è di tutti» come cantava in un incerto italiano Stevie Wonder. Alberto Gedda Steve Winwood. Critico
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