JARRETT, STANDARDS

Con Peacock e De Johnette sabato 24 novembre al Regio AZZ JARRETT, STANDARDS Con Peacock e De Johnette sabato 24 novembre al Regio CI tiene molto, Keith Jarrett. Quindi non parleremo del trio Jarrett, Peacpck, De Johnette; bensì del gruppo «Standards». Vogliono che li si chiami così, i tre campioni del jazz che sabato 24 si esibiscono tra i velluti del Regio. E chi siamo mai per scontentarli? Chi non frequenta abitualmente il jazz, potrà chiedersi che cosa mai significhi «standards». Qualcosa di standardizzato? Roba da grandi magazzini della musica? No, no. Semplicemente, nel jazz s'intende per standard un tema celebre, un brano, insomma, che tutti i musicisti jazz del mondo conoscono, o dovrebbero conoscere. Una sorta di «esperanto», una lingua comune: su uno standard, qualsiasi jazzista, di qualsiasi parte del mondo, è in grado di improvvisare con altri musicisti, magari incontrati un attimo prima. Da anni, Keith Jarrett e i suoi due compagni suonano standards ' temi di autori che vanno da Parker a Monk, e attraversano l'intera vicenda della musica afroamericana - e anche a Torino proporranno dal vivo questo classicissimo repertorio. L'operazione è interessante, anche perché ha per protagonisti tre jazzmen tutt'altro che convenzionali, che nella loro lunga carriera hanno accumulato esperienze nei territori musicali più diversi. Jarrett, intanto: 45 anni, esordì alla corte di Art Blakey in una delle più importanti edizioni dei Jazz Messengers (con lui c'erano Chuck Mangione, Frank Mitchell e Reggie Johnson, altri musicisti che approdarono rapidamente ad un'ampia popolarità). Nel '66 il primo incontro con De Johnette: i due lavorano con il sassofonista Charles Lloyd, e Jarrett conquista fama mondiale, approdando nel '68 a un trio d'avanguardia con Charlie Haden e Paul Motian. Altra esperienza fondamentale nel '70 alla corte di Miles Davis: suona le tastiere elettriche, ma la fusion non lo interessa più di tanto, e torna all'acustico, avvicinandosi sempre più ad una dimensione classica pur non trascurando l'interesse per la ricerca musicale meno conformista. Gli Anni Settanta sono quelli della definitiva consacrazione di Jarrett a pianista cult, tra jazz e tendenze «colte» (dischi con orchestra sinfonica, la rilettura, datata 1988, del «Clavicembalo ben temparato» di Bach), fino all'apoteosi del «Kòln Concert»: un disco, que- sto, terribilmente manieristico, declamatorio e francamente noioso e pretenzioso, e tuttavia - o forse proprio per questi motivi - vendutissimo. Nell'83, poi, Jarrett inizia la collaborazione stabile con Peacock e De Johnette, incentrata soprattutto sulla rilettura degli standards. La formazione e la collocazione storica del contrabbassista Gary Peacock è decisamente più avanguardistica: dalla fine degli Anni Cinquanta non si contano le sue collaborazioni con i massimi protagonisti del «free», da Albert Ayler a Paul Bley, Sonny Murray, Don Cherry. Ma con altrettanta inventiva, Peacock adatta il suo solismo contrabbassistico - gemale e per molti versi assolutamente innovativo - a situazioni e atmosfere legate più direttamente e, diremmo, «filologicamente» alla grande tradizione afroamericana. Il batterista Jack De Johnette, nato a Chicago e cresciuto nella Windy City lavorando sia con bluesman tradizionali, sia con i rivoluzionari dell'Aacm, conquistò grande popolarità alla corte - pure lui, guarda caso di Miles Davis. Artista versatile e dotato di grande tecnica, lo abbiamo ascoltato nelle situazioni più varie, e sempre con esiti eccellenti. Il concerto di sabato 24 al Teairo Regio (inizio ore 21), orgai, izzato con la collaborazione dell'Aics-Contromusica, ha immediatamente assunto il profilo del «big event»: i biglietti (30, 45 e 60 mila lire) sono andati a ruba, e il «tutto esaurito» offrirà una degna cornice a quello che fin da ora si preannuncia come uno degli avvenimenti più interessanti della stagione jazzistica. [g. fer.] Sopra Keilh Jarrett sotto: John ì.eiris

Luoghi citati: Chicago, Torino