PRANZO CON MONET AL MUSEO D'ORSAY

PRANZO CON MONET AL MUSEO D'ORSAY PRANZO CON MONET AL MUSEO D'ORSAY DPARIGI A Manet a Matisse» è il titolo con cui il Museo d'Orsay presenta (sino al 10 marzo) le acquisizioni»dal 1983 ad oggi: 200 pezzi scelti tra le migliaia raccolti da donazioni, «dations» (cessioni degli eredi in pagamento delle tasse), acquisti. Curata da Marc Bascou (catalogo ed. Réunion des musées nationaux), è la seconda esposizione, dopo quella che a Tokyo nel 1983 aveva mostrato il primo nucleo del museo aperto nel dicembre 1986. Le opere (pitture, disegni, fotografie, sculture, mobili e oggetti d'arredo) affollano, in ordine cronologico, sale e corridoi un po' angusti, ma rinfrescati per l'occasione. E' un panorama singolare, un po' voluto un po' tagliato dal caso, che offre immagini dimenticate e famose di una sessantina d'anni d'arte francese ed europea, dal 1850 ai primi dieci del '900. Custodite dalle famiglie a lungo nei cassetti di casa, al di fuori delle mode, come quel disegno ad acquerello di Ruprich-Robert, del 1842 — uno dei tanti — con uno studio delYEglise Saint Martory (Alta Garonna): insieme a quelli di Viollet le Due, Ancelet, o le fotografie di Gerard, ci porta nella Parigi di metà '800, quando all'Ecole des Beaux Arts si studiavano monumenti medioevali e decorazioni policrome. Qualche volta si tratta di opere presentate con scarso successo ai Salon, ma oggi affascinanti e sintomatiche di un certo clima, come quel paesaggio scosceso e romantico, Le gouffre (L'abisso), dipinto nel 1861 da Paul Huet, che rispondeva al gusto dell'epoca di Luigi Filippo, ma non piaceva più quando fu esposto sotto Napoleone III. Ma ci sono anche capolavori, ricomposti dopo anni di separazione: è il caso del Déjeuner sur l'herbe di Monet, del 1865-66, arrivato per «dation» nel 1987. Parte centrale di una grande composizione (lo studio preparatorio è a Mosca), tagliata dallo stesso artista, perché mal conservata da un creditore, si ricongiunge alla parte sinistra. Luminosa, grandiosa, preannuncia l'Impressionismo e testimonia un modo diverso di trattare il soggetto già dipinto da Manet, esposto al Salon del 1863 e conservato nel Museo. Ricchissima la pittura, si apre con un vivace schizzo ad olio di Delacroix, La caccia ai leoni, eseguito nel 1854 per un dipinto di maggiori dimensioni ed acquistato dal d'Orsay nel 1984: un'«esplosione di colori», come diceva Baudelaire, che influenza Manet, Signac, Matisse. E si chiude con il ritratto di Madame Josse Bernheim col figlio, firmato da Renoir nel 1910, una florida borghese che, trattata ad abbondanti pennellate, risale addirittura a Rubens. Tra loro, dipinti meno noti come il Pescatore con la conchiglia di Carpeaux, eseguito in Italia nel 1857 ed allora riprodotto in bronzi ed incisioni, e opere celebri come La pie (La gazza) di Monet, un incantevole paesaggio di neve giocato su tutte le gradazioni del bianco, o L'evasione di Rochefort (1880-81) di Manet, una brillante distesa di mare. E ancora, dalla ieratica Donna con ombrello di Signac all'inquietante Lusso, calma voluttà di Matisse, del 1904, che con un titolo alla Baudelaire rappresenta una visione di donne sulla spiaggia, fatte di punti colorati. Testimoniano, insomma, tutti i passaggi. Romanticismo, Impressionismo, Divisionismo, Nabis, mentre grande spazio è dato a interi nuclei di dipinti e disegni di Degas, Bonnard, Odilon Redon e a tutta una serie di schizzi, tra cui spiccano, con grafia decisa e nervosa, ritratti e autoritratti di Baudelaire, degli anni 1860, della seconda edizione dei Fiori del male. Curiosa, la fotografia documenta la sua evoluzione da esempi ottocenteschi come quell'imbronciato, Louis Dodier, prigioniero, del 1847, opera dell'appena riscoperto de Molard, all'affascinante ritratto di Baudelaire del più noto Nadar, sino al Marcel Proust sul letto di morte, del 1922, di Man Ray. Attraverso immagini che offrono commoventi spaccati del tempo. Anche quello della scultura è un volto che riserba sorprese: ci sono per esempio bozzetti di bronzo, preziosi, come il policromo Guerriero tartaro del 1855 di Antoine Louis Byare, regalato nel 1988 dagli Amici del Museo d'Orsay, o in cera come quel buffo Viaggiatore a cavallo di Meissonier, offerto dalla nipotina nel 1984, una di quelle figurette che, vestite di tessuto e munite di tutti gli accessori, servivano all'artista come modelli per grandi dipin ti. Ma non mancano opere chiave, come la famosa «cera¬ mica-scultura» Oviri (Selvaggio) di Gauguin. Realizzata nell'inverno del 1984, a Parigi, nell'atelier del ceramista Chaplet, rappresenta una piccola mostruosa selvaggia, simbolo delle aspirazioni dell'autore alla vita libera di Tahiti. Carissima a Gauguin, che la vuole prima in giardino e poi sulla tomba, gioca un ruolo fondamentale sull'arte del XX secolo. Dello stesso artista, il Museo d'Orsay si è procurato un altro pezzo importante, il quinto elemento ligneo («Soyez mystérieuses»), che ornava l'ingresso della casa a Atuona nelle Isole Marchesi e che si aggiunge agli altri quattro posseduti dalla collezione: l'insieme decorativo più importante del pittore. Ma forse i più spettacolari sono proprio gli oggetti di arredo:- accanto a splendidi vasi, coppe, piatti, di argento, vetro, oro di importanti manifatture europee e americane (Christofle, Tiffany), spicca la raccolta di mobili, dalle seggiole neogotiche di Pugin alla dinamica e armonica scrivania di Van de Velde, tipico esempio di Art Nouveau, al geometrico secrétaire laccato di bianco di Mackintosh, del 1904. Maurizia Tazartes Mondrian: «Depuri pour la pèche», verso il 1898-1900

Luoghi citati: Alta Garonna, Italia, Mosca, Parigi, Tokyo