ALLO SPECCHIO DI GROSSO
ALLO SPECCHIO DI GROSSO ALLO SPECCHIO DI GROSSO Enfatico ritrattista, una presenza egemone nella Torino fra '800 e '900 Antologica alla Promotrice, dalla «Femme» alla «Cella delle pazze» un Tommasi Ferroni, un «caso. Grosso» può ancora essere ritentato, può avere un preciso senso quanto meno ideologico. Ancora una volta, direi, a danno di una vera comprensione del significato - non irrilevante - della presenza di un clamoroso (sociologicamente clamoroso) fabbricante d'immagini come Giacomo Grosso a Torino, con valore propositivo - come impagabile documento di gusto, di costume, di com¬ LA MILANO ^ OPERARE di LuJ ciano Fabro, uno * tra i protagonisti dell'arte concettuale europea, si fonda dagli inizi degli Anni Sessanta su significati sedimentati da secoli di arte, storia, filosofia, religione e mitologia europea e classica. Ne è testimonianza la bella mostra (aperta fino alla fine di dicembre) alla galleria Christian Stein di Milano, il cui curioso titolo Computers di Luciano Fabro-Caramelle di Nadezda Mandel'stam allaccia assieme in un omaggio attivo, il nome dell'artista con quello della scrittrice, moglie del famoso poeta russo Osip Mandel'stam, morto nel 1938 in un gulag siberiano. L'esposizione si articola in due nuclei dialoganti tra il pensiero di Fabro e quello della scrittrice russa che, sopravvissuta al marito e alle deportazioni, deprivata della possibilità di scrivere, solo dagli inizi degli Anni Settanta ebbe il permesso di pubblicare le memorie della sua vita con Mandel'stam, prima della morte nel 1980. Ristampato recentemente da Serra e Riva, il volume di Nadezda L'epoca e i lupi giace sul pavimento della galleria per metà sotto il peso di una grande scultura in marmo grigio a forma triangolare, lavorata frontalmente e grezza dietro, legata alla parete da un cappio: esso è come un corpo radiante di pensieri, che si aprono e si congiungono con gli elementi della mostra. Il primo collegamento mentale avviene con i visitatori, mediante caramelle avvolte in carta portamento - nel trentennio esattamente a cavallo fra '800 e '900 fino alla prima guerra mondiale; con una vita ulteriore che si conclude con assoluta coerenza lasciando incompiuto il ritratto di Sua Eccellenza Pietro Badoglio sul cavallo bianco. Il problema non è quello di difendere valori di pittura pura, diretta, istintiva, indifferente al «soggetto», accettando l'abile immagine che Grosso offriva di se stesso parlando in un piemontese che, ricordiamolo, nel «suo» ambiente di clientela era lingua nobile anzi regale. Inversamente, tutto il significato della presenza egemone di Grosso nel trentennio di cui si è detto consiste proprio nella sua lucidissima coscienza professionale, operativa, di essere portatore dell'alternativa (europea) della pittura da «Salon», «pompier» - che proprio nella sociologia, o for¬ se è più pertinente dire nell'antropologia culturale del soggetto, di genere, di costume contemporaneo, di «art sacre», erotico-pornografico, ha il suo punto focale - alle due istanze «intellettuali» del naturalismo impressionista e del simbolismo ideista, e loro conseguenze ulteriori. Storicamente, è un'alternativa reale, concreta, fino all'ulteriore esplosione delle avanguardie storiche, la cui aratura del terreno artistico fu talmente profonda che il «ritorno all'ordine» degli Anni 20 non potè, con tutta la buona volontà, riallacciarsi a quell'alternativa. Solo a quel punto, che a Torino fu il punto casoratiano, Grosso fu veramente un sopravvissuto, con buona pace degli Zanzi e dei Bernardi: ma senza il grosso dittatore in Accademia, fiancheggiato dai più «moderni» Maggi e Ferro, non si spiega la fronda interna modernista degli allievi, Reviglione e Bosia ed Evangelina Alciati, Carena e Buratti, che in vari modi prepara la strada all'arrivo di Casorati. E ciò è giusto. Quell'enorme Cella delle pazze che domina una sala della mostra, imposta nel 1884 ai torinesi a due anni dalla fine dell'accademia e abbandonando la rapidissima fortuna di ritrattista alla corte romana del Quirinale, è comunque un manifesto di chiusura della stagione accademica dello storicismo ancora di ascendenza romantica di Gastaldi e di Gamba. Ed è un manifesto di forma - la pittura «nera», spagnoleggiante, di lontana ascendenza courbettiana, che perseguiva pochi anni prima anche il primo Segantini - quanto di contenuto (Verga). Da questo punto in poi, Grosso è un ben robusto divulgatore - direi il meglio, in Italia
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