Petroli - Una coda al processo
Petroli Petroli Una «coda» al processo Si apre stamane in una delle grandi aule delle Vallette un altro processo nato dalla gigantesca inchiesta sulle frodi petrolifere condotta fra la fine degli Anni Settanta e l'inizio del decennio successivo dai giudici istruttori Vaudano e Cuva. Il processo «contro Acampora + 54» (ecco la ragione per cui la quarta sezione penale si sposta dalla sua abituale aula di udienza di via Sant'Agostino) rappresenta l'ennesimo stralcio dell'inchiesta principale. E interessa, oltre che per il numero degli imputati, anche per la personalità dell'ex ufficiale delle Fiamme Gialle divenuto in seguito un affermato tributarista della Capitale e stretto collaboratore del generale Donato Loprete, ex capo di stato maggiore della Finanza ed uno dei protagonisti delle indagini della magistratura torinese. Acampora venne arrestato a Roma all'inizio dell'aprile 1983. Sui suoi conti presso istituti di credito svizzeri si era scoperto che transitavano negli Anni Settanta somme ingenti in dollari e in marchi. Si parlava di milioni. A che servivano? Dopo aver raccolto la testimonianza di una donna d'affari francese, Chantal Carchereux, con un avviato ufficio di consulenza finanziaria a Ginevra, il giudice istruttore Mario Vaudano imboccò la pista del commercio di armi. La donna gli aveva riferito di «essere a conoscenza di numerose vendite di armi da parte di Giovanni Acampora e di Paolo Bulgari (sì, il famoso gioielliere romano) a Paesi del Terzo Mondo e in particolare alla Bolivia, al Kuwait, all'Iran e ad altri Paesi del Golfo Persico». Le particolari transazioni commerciali sarebbero avvenute attraverso società registrate a Panama e a Vaduz, facenti capo ai due uomini di affari. Acampora e Bulgari avrebbero acquistato le armi da aziende italiane e il ricavato delle vendite sarebbe finito sui famosi conti svizzeri. L'inchiesta fu tolta al giudice Vaudano.
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