Il jazz a 220 volt di Joe Zawinul

Il jazz a 220 volt di Joe Zawinul Stasera il Big inizia la lunga settimana con i grandi della musica afroamericana Il jazz a 220 volt di Joe Zawinul Poi il duo Stallings-Hoover e infine KeithJarrett TORINO. Sarà una settimana di fuoco. Quattro impegnativi concerti sono infatti in programma al Big, al Centralino, ancora al Big e infine al Regio. I giorni: stasera, domani, giovedì e sabato. In realtà i gruppi da segnalare si riducono a tre perché il concerto di domani al Centralino sarà replicato giovedì al Big. Ma andiamo per ordine. Stasera: si rivede Joe Zawinul, un maestro da oltre vent'anni per due generazioni di musicisti. Prima con Miles Davis, poi con Wayne Shorter (Weather Report) infine in proprio, Zawinul è il più classico e significativo prodotto-produttore dei gusti contemporanei. Fu lui che influenzò Miles Davis portandolo sulla strada del rock (termine qui usato in maniera non strettamente specialistica ma generalizzata). Joe arrivava dall'Europa a New York alla fine degli Anni 50, si impose rapidamente: aveva cultura e swing da vendere; Cannonball lo prese con sé quando dovette sostituire Bobby Timmons. Un impiego che avrebbe stroncato chiunque ma non quel giovane austriaco che in Europa aveva fatto il dixieland prima di approdare al bebop e dintorni. Zawinul, anzi, divenne il direttore artistico del sestetto di Cannonball e probabilmente fu lui a indirizzare su un filone funk una band che faceva soprattutto del bebop. Inoltre Zawinul è il quarto musicista dei quattro che hanno dato una svolta alla carriera di Miles Davis: il primo fu Lennie Tristano (Lee Konitz) con il progetto cool, poi Gii Evans con le realizzazioni di piccoli ma maestosi progetti sinfonici, poi l'inglese Victor Feldman che gli suggerì il nuovo filone che condurrà Davis al grande quintetto del '63 (Seven Steps To Heaven ecc.). Joe fu l'ispiratore della grande e definitiva svolta davisiana, quella che ancora oggi accompagna le fortune del Principe nero. Quattro bianchi. Quattro musicisti bianchi hanno dato a scadenze decennali il «la» al «nuovo» corso davisiano. Ma anche il modalismo di Bill Evans giocò un ruolo importante nella carriera di Davis ma di questo passo scriveremmo un saggio su Davis e il jazz bianco invece di redigere la presentazione di un concerto. Dunque uno Zawinul che non nasce dal nulla, che non crea dal nulla ma un personaggio da amare o per lo meno da stimare per quella dote rara che è l'intelligenza, per la profonda cultura (non solamente jazzistica), per la potenza, l'energia che pervade una musica che si snoda con un'andatura sovente ricca di climi lirici, incantatori, ipnotici. Inoltre il suo lavoro sulle tastiere elettroniche e computerizzate è davvero un'opera di magia, da tutti imitata: un vero precursore ma irraggiungibile; in qualche modo passerà alla storia. Opportuno suggerire a chiunque ami il jazz di non perdere questo eccezionale appuntamento (organizzazione Centro Jazz, Big). Un duo inedito, domani al Centralino, giovedì al Big, sempre per conto del Centro Jazz che ha scritturato una cantante e un pianista poco noti alla folla ma assai apprezzati nel mondo del jazz afroamericano. Si tratta della cantante Mary Stallings (tre anni con Count Basic poi una tournée con Billy Eckstine, numerosi dischi, ammiratrice di Dinah Washington e Billie Holiday) e del pianista Merril Hoover (già accompagnatore di voci speciali quali Anita O' Day, Nancy Wilson, Billie Holiday. A Torino abbiamo già constatato (si veda il caso della sorprendente Keiko McNamara) che è difficile smuovere il pubblico a meno di non mettere in cartellone nomi celebrati e censiti dalla critica: ma invece c'è tanto da scoprire e in questo senso ci pare che qifelli del Centro Jazz facciano le cose con molta serietà: un servizio utile per i fans c per quei musicisti che meritano spazio in mezzo ai soliti colossi, quei tre o quattro che ogni anno fanno il giro del mondo e approdano infine anche in Italia. Chiusura alla grande con il trio di Keith Jarrett sabato al Regio (organizzazione Aics) per un concerto atteso da anni: Keith venne a Torino nel '72 con l'orchestra rock di Davis, poi lo si vide a Biella in trio (con Aldo Romano e Gus Nemeth), poi a Bergamo e un po' dappertutto, mai più a Torino. Questa volta arriva con la sua più bella formazione (quella con Gary Peacock e Jack De Johnette). Jarrett era un progetto che già solleticava l'orecchio fine di Diego Novelli quando era sindaco di questa città e presidente dell'Ente Regio. Sono trascorsi parecchi anni dal Concerto di Colonia (etichetta ECM), ora Jarrett è ritornato sulla strada del jazz (quello degli standard) e quando vuole togliersi lo «sfizio dell'intellettuale» si suona Bach e lo incide superbamente. Franco Mondini Joe Zawinul. Un leader nell'ombra per anni, emerso con i «Weather Report»

Luoghi citati: Bergamo, Biella, Europa, Italia, New York, Torino