Malaffari di Stato Giustizia sconfìtta di Vincenzo Tessandori

Malaffari di Stato Giustizia sconfitta «Soave inquisizione» di Rosario Minna Malaffari di Stato Giustizia sconfitta IH AFFARE sembra banale: " l'indagine su un assassinio. Il morto era un ricati tatore, forse un assai se LI ducente giornalista ucciso a pistolettate, e l'inchiesta finisce nelle mani del giudice istruttore. Ma ci finisce dieci anni dopo il fatto e ben presto il magistrato si rende conto come quell'affare in realtà sia un malaffare di Stato. Comincia così ima lunga schermaglia che via via diventa un aspro duello con il Sistema perché è il Sistema a pretendere da lui, indagatore, un'inquisizione approfondita, completa, illuminante, che rassicuri ma che risulti inoffensiva. E più l'inchiesta va avanti più si intravedono, sotto il pelo dell'acqua, gli scogli dove qualcuno si augura che vada a incagliarsi l'Inquisitore Pubblico. Ma l'indagine non si ferma. E Rosario Minna nella Soave inquisizione (La casa Usher, Firenze, 134 pagine, 20 mila lire) la racconta con linguaggio disincantato, goliardico. Minna è leccese, ha 48 anni e magistrato lo è per davvero da oltre venti: a Milano prima, ora a Firenze. Con la penna ha dimestichezza, ha già scritto un saggio sul terrorismo, uno sulla politica costituzionale e una graffiarne Breve storia della Mafia. La strada a ritroso compiuta nell'indagine sull'omicidio del ricattatore mette il giudice a contatto con alcuni personaggi al di sotto e, soprattutto, con altri al di sopra di ogni sospetto: il grande gangster, l'amante disinvolta, il giovane killer, l'alto ufficiale dei servizi segreti, il potente ministro pronto a trincerarsi dietro al «segreto di Stato». Inutile tentar di identificare l'uomo politico fra quelli seduti nelle dorate poltrone di Palazzo Chigi perché, come avverte il distico di certi film, fatti e personaggi della vicenda sono immaginari e ogni riferimento a cose e persone è puramente casuale. Ma dallo scanzonato racconto emergono motivi seri e note autobiografiche. «E' un monologo, conferma Minna, dunque anche una confessione. Ed è un addio per il mestiere di giudice istruttore, finito con l'entrata in vigore del nuovo codice. Un addio senza nostalgie, un saluto in piedi». Il giudice istruttore Minna si è trovato a condurre le inchieste sugli attentati ai treni compiuti fra Bologna e Arezzo, dal 1974. Lo stesso anno del «delitto Pipparelli» di cui si occupa il magistrato protagonista della Soave inquisizione, ma anche anno emblematico, insanguinato dalle stragi di piazza della Loggia a Brescia e dell'Italicus, dai primi morti fatti a Padova dalle Brigate rosse. Osserva Minna: «E in quel periodo che si verifica un mutamento di tendenza. Decollano i "rossi" e rimangono al palo i "neri". E scattano gli omicidi e le stragi e tutti questi casi sono operazioni di retroguardia nel senso che viene dato una specie di segnale al centro di potere. A "Gladio"? Forse, chissà? Il nostro maggior difetto allora era l'ignoranza dei meccanismi nascosti della politica». Ma dalle indagini sul terrorismo emersero indizi che avrebbero potuto portare al «Gladio»? «S'intuiva che c'era un gruppo particolare anche se non se ne capivano i connotati. Ma sì, forse gli inquirenti hanno avuto fra le mani tanti "Gladii" ma hanno sempre avuto paura di far la parte dei gladioli». E i troppi segreti di Stato? Quante volte testimoni in difficoltà li hanno sbattuti sul naso del signor giudice Minna? «Parecchie. Ma so- no convinto che, di solito, i "segreti" non sono grandi segreti, per tante vicende, se cadessero scopriremmo i meccanismi piccoli che stanno dietro alle grandi cose». Una volta Minna sollevò la questione davanti alla Corte Costituzionale. Era stato l'ara* miraglio Fulvio Martini, capo del Sismi, a opporre il segreto di Stato durante l'inchiesta per gli attentati ai treni, attentati che il codice definisce «stragi». «Sostenevo che il "segreto" non poteva esser sollevato poiché è stabilito che non può essere opposto per fatti eversivi dell'ordine costituzionale, e le stragi sono un fatto eversivo. La Corte mi rispose press'a poco così: non avendo io fornito la prova che senza segreto avrei trovato gli autori, la mia richiesta appariva improponibile. Ci rimasi come un cretino». Fra le carte di quelle inchieste giudiziarie s'intravedevano i profili di personaggi assai importanti, insomma anche quello di qualche ministro. Come il magistrato che nel libro si arrovella alla ricerca dell'assassino del ppiccolo ricattatore, e sbatte il muso sul Leone, il potente ministro che gli propone un patto, anche Minna si è trovato di fronte qualche persona di grande autorità pronta a suggerirgli un accordo. «In tre o quattro occasioni. Loro son sempre stati cortesi, comprensivi del mio lavoro. E pronti a offrire un accordo, accordo, e questo deve risultare chiaro, che non è corruzione soltanto loro ti garantiscono la tua fetta di potere. E allora va a finire che non c'è più dramma, non c'è più lotta e il monologo non si scioglie». Sei anni or sono, il saggio sull'Onorata società. Da allora è cambiato qualcosa? Minna non ha dubbi: «Non è cambiata la Mafia, ma noi. Invece di salire la Sicilia, quella Sicilia, verso di noi, siamo noi ad esser scesi verso di lei. In Italia un dramma radicale è la mancanza di cultura: non c'è discussione su niente, in questo Paese. E allora? Forse l'utopia è quella cosa che non si intende più cercare e la politica l'altra che si vuol conservare, come dice Giancarlo Zizola in Padre Lombardi, microfono di Dio?)). I legami fra politica e Mafia? «Ottimi e abbondanti. Per tentare di scioglierli occorrerebbe ima riforma istituzionale, abolire la pubblica amministrazione sabauda e sostituirla con un'amministrazione per i cittadini. Ma non mi pare che si voglia battere quella strada: col nuovo codice hanno fatto della giustizia uno strumento buono per i galantuomini nel senso che sembra studiato su misura per non farli andare in galera e quindi, per non farli finir dentro, hanno allargato le maglie attraverso le quali, naturalmente, passano anche i birbanti. Del resto, sovente oggi galantuomini e furfanti sono la stessa cosa, quindi l'impunità dev'essere generale». In conclusione? «In conclusione io ho perduto. Non individualmente, certo, non come persona perché sono fra i pochi che la possono raccontare, che possono divertirsi a non riconoscere a qualcuno la dignità. Ma come potere ho perduto». E nel prossimo venturo? Non rimane che fare il Gip, il giudice delle indagini preliminari, osserva Minna. «0 Giudice In Pensione». Come, forse, farà l'ostinato Inquisitore Pubblico del libro. Vincenzo Tessandori j. 4 , , mi/k I giudice Rosario Minna

Persone citate: Fulvio Martini, Giancarlo Zizola, Rosario Minna, Usher

Luoghi citati: Arezzo, Bologna, Brescia, Firenze, Italia, Milano, Padova, Sicilia