Violenza sessuale, progetto inutile?

Violenza sessuale, progetto inutile? Domani a Roma dibattito tra parlamentari, giuriste e avvocate alla luce del nuovo codice Violenza sessuale, progetto inutile? La legge, ferma alla Camera (ha già 11 anni), ha dei limiti ROMA. Il progetto di legge sulla violenza sessuale mostra limiti e pecche vistose alla luce del nuovo codice di procedura penale. Rito direttissimo, interrogatorio «incrociato» alla Perry Mason, patteggiamento... sono alcune delle novità che rischiano di penalizzare le vittime. Ne sono convinte, pur con sfumature diverse, note giuriste e avvocate che domani parteciperanno a Roma al seminario promosso al Circolo della Rosa dalle parlamentari della sinistra indipendente su questo tema delicato. Tanto più urgente dal momento che alla Camera, dopo la Finanziaria, potrebbe riprendere l'esame del discusso progetto. «Ci auguriamo che le nostre riflessioni servano a far capire la necessità di apportare correttivi e modifiche ad una legge voluta dalle donne ma che può trasformarsi "contro" le donne», dice la deputata Annalisa Diaz che assieme alla giornalista Roberta Tatafiore coordinerà il dibattito di domani. «La nuova legge rischia di essere inutile prima ancora di essere approvata: se non si fanno i conti con la realtà finiamo col parlare del sesso degli angeli e non dei problemi concreti», dice polemicamente l'avvocata Rita Farinelli, tra le esperte che interverranno domani. «Certo, si può violentare senza tanti problemi! Infatti, paradossalmente, per le vittime di stupro la situazione è peggiorata con le novità introdotte dal nuovo codice, garantista per gli imputati ma non per la parte lesa. La filosofia di un rito accusatorio, alla Perry Mason, per cui si va in carcere solo quando c'è una condanna va bene in quei Paesi in cui il processo dura al massimo un mese e non anni come da noi», aggiunge l'avvocata Tina Lagostena, una lunga pratica nella difesa di molte vittime di violenze sessuali, tra cui i tragici casi del Circeo del '75 e di Marinella, alle prese attualmente con altri 27 processi, una lunga sequenza di drammi che saranno raccolti in un libro di prossima pubblicazione. Un progetto di legge travagliato e già vecchio quello sulla violenza sessuale. E non c'è da stupirsi visto che fu presentato nel lontano 1979 (tra polemiche e divisioni anche all'interno del movimento delle donne) quando ancora erano valide nonne processuali relative al codice del 1930, ed attualmente fermo alla Camera dal marzo '89 dopo aver subito in Senato non pochi rimaneggiamenti e mediazioni. Ma nel frattempo è entrato in vigore (il 24 ottobre '89) il nuovo codice di procedura penale che ha introdotto molte novità. Come spiega Rita Farinelli, se prima del nuovo codice la parte lesa, cioè la vittima della violenza sessuale, aveva delle difficoltà legate a una procedura processuale lunga e farraginosa che obbligava a distanza di anni a ripercorrere momenti drammatici, a ricordare con difficoltà particolari tecnici («come ha messo in evidenza il caso Popi Saracino, il professore messo sotto accusa da una allieva, poi assolto»), il rito direttissimo non è meno pesante per la parte lesa che viene sottoposta all'interrogatorio incrociato da parte del pubblico ministero e degli avvocati, con magari il problema di dover presentare delle prove per le quali non c'è stato il tempo di arrivare preparati. Casi delicati, dalle molte implicazioni e sfaccettature che richiederebbero un'adeguata sensibilità e cultura. Ma in chi ha esperienza di processi per stu¬ pro prevale il pessimismo. «Avendo avuto modo di sentire le domande dei miei colleghi avvocati a delle vittime di violenze sessuali, è facile prevedere col rito direttissimo un'ulteriore violenza nei confronti della donna», dice Lagostena. Il rito direttissimo è previsto sempre dalle norme contro la violenza sessuale, se non sono necessarie indagini speciali, mentre per il nuovo codice è possibile solo in caso di arresto in flagranza o in seguito a confessione. «Significa che il processo si fa dopo pochi giorni dalla denuncia della violenza subita, ma le vittime in genere sono molto scosse, sotto shoc, fragili, mentre invece bisognerebbe dar loro tempo di rafforzarsi», sostiene Rita Farinelli, convinta che la querela di parte sia giusta «perché una donna deve poter affrontare il processo quando si sente in grado di poterlo fare. Non dimenticherò mai le parole di Marinella "il processo è stato persino peggio dello stupro", o la ragazzina di sedici anni che faceva fatica a raccontare a me quello che aveva vissuto, figuriamoci in un interrogatorio incrociato. 0 una donna che aveva vissuto con tale tensione il processo che alla fine la sua psiche non ha retto ed è caduta in una profonda crisi depressiva». Il dibattito è più che mai aperto anche rispetto alle divergenze tra nuovo codice e progetto di legge in merito alla partecipazione al precesso delle associazioni a cui è riconosciuta la finalità di tutela degli interessi lesi dal reato (nel caso di violenza sessuale, ad esempio, di associazioni e gruppi di donne). C'è un altro problema: il rischio che tra attenuanti generiche e «patteggiamenti» la pena nei confronti dell'imputato di reati sessuali diventi irrisoria, come quel ginecologo di Catania che per aver violentato una paziente ha avuto una condanna a un anno e mezzo. C'è chi, tra cui anche l'avvocata Lagostena, sostiene la necessità di stabilire una pena non inferiore ai cinque anni per impedire il «patteggiamento» (applicabile solo quando la pena non supera i due anni). Una proposta però anche criticata. Nicoletta Gandus, la magistrata milanese che domani aprirà il seminario è di questa schiera: «Sono contraria ad un diritto "speciale" per i reati di violenza sessuale perché consente all'uomo di dichiarare la propria estraneità allo stupro, facendo del violentatore un mostro e dello stupro stesso il frutto di una deviazione comportamentale anziché il contenuto radicato di una cultura di sopraffazione». La magistrata milanese è contraria anche ad un aumento della condanna, mettendo in guardia da una acritica accettazione di una normativa dal taglio «emergenziale» che ha attribuito alla pena una funzione di prevenzione generale, «se non addirittura un carattere di esemplarità inutile rispetto all'esigenza d'inviolabilità del corpo femminile che trova adeguata risposta solo con una profonda modificazione del rapporto uomo-donna». Stefanelli Campana

Luoghi citati: Catania, Roma