Colori per solitudini e osterie

Si inaugura domani la retrospettiva alla Galleria «Dantesca» di Torino Si inaugura domani la retrospettiva alla Galleria «Dantesca» di Torino Colori per solitudini e osterie I silenzi di Firenze nel piccolo mondo di Rosai |E a Palazzo Nervi l'arte L ' contemporanea trova V una significativa collol j cazione, non meno intebsL I ressanti si rivelano alcune personali allestite nelle gallerie torinesi. In tale contesto si suggerisce un ulteriore percorso attraverso le vicende compositive di Vasarely, di scena nelle sale della «Nuova Gissi», in piazza Solferino 2, e di Jesus Rafael Soto alla «Menzio», in via Cavour 41 b (una sua opera emisferica è esposta nell'atrio del Centre George Pompidou di Parigi), mentre alla «Biasutti», in via Juvarra 18, si possono incontrare le sovrapitture di Mimmo Rotella dal titolo «Fra incursioni e trofei Barbarici metropolitani». Di Ottone Rosai si apre domani, alle ore 18, una pregevole retrospettiva alla Galleria «Dantesca», in piazza Carlo Felice 19. A sette anni dalla mostra del Circolo degli Artisti, si rinnova l'indagine intorno alla sua pittura, alla sua personalità di uomo che ha scandito i momenti più intensi e poetici del paesaggio Toscano, alla capacità di dare vita e forma e colore ai pensieri, alle riflessioni, alla solitudine. In catalogo, Tommaso Paloscia stabilisce un ulteriore rapporto fra l'artista e l'ambiente in cui ha operato, in una direzione in cui si avverte il fascino di un «dire» che si snoda «dai fragili silenzi dei paesaggi stupendi agli episodi umorali gli urli - di una pittura in cui le figure umane si fanno bersaglio e alibi insieme, addossandosi il carico dei suoi vizi e dei suoi rancori, del suo travaglio di sempre». E sono proprio i silenzi, la dimessa dimensione degli «omini», le strade di una Firenze profondamente rivisitata, che emergono dalle pagine di questo artista nato nel 1895 e morto nel 1957 ad Ivrea, dove si era recato per assisterò all'inaugurazione della sua mostra, presso il Centro Culturale Olivetti. Formatosi sulle pagine di Mallarmé, Baudelaire, Kipling e Oscar Wilde, Rosai si avvicinò alle istanze dei futuristi e, nel 1914, eseguì «Dinamismo bar San Marco». Successivamente collaborò con prose e disegni a «Lncerba», pubblicò «Il libro di un teppista» da Vallecchi, aderì al «Selvaggio» di Maccari. La personalità di Rosai si configura con la partecipazione alla Biennale di Venezia, alla Quadriennale d'Arte di Roma, con l'insegnamento della pittura all'Accademia di Firenze, con l'esposizione al Museo d'Arte Moderna di New York nel 1949. Un cammino, quindi, che esprime la sua visione di artista che ha avverti;. ;1 fascino della grande tradizione dell'arte italiana: «Per un pittore, per esempio, raggiungere il suo sogno sarà l'arrivare a dipingere l'universo di una foglia... Poeta innanzi tutto, canterà i suoi versi in forme e colori. Nel riprodurre un albero, una casa, tutto lo preoccuperà soprattutto il dare di ognuna di queste cose il loro intimo dramma, che infine è il suo e quello di tutti». La poesia rappresenta l'essenza del suo essere pittore di interiori sensazio¬ ni, di paesaggi urbani, di luci che si stemperano nella tessitura dei suoi dipinti, nella concreta definizione dei disegni nei quali si ravvisa la particolare disposizione del segno che circoscrive e risolve i ritratti di Vasco Pratolini e di Domenico Giuliotti, il «Panorama di Firenze» e un mazzo di «Fiori», come si può vedere alla «Dantesca». Disegni che costituiscono la prima stesura di un'idea, di un'intuizione, di un incontro con la vera e insostituibile misura di questo singolare personaggio del nostro tempo. Un uomo che credeva fermamente nel valore dell'arte in una dimensione in cui - aveva detto - «l'arte non è teoria, non è retorica, l'arte è valore, è bellezza, è assoluto, e come tale ha bisogno di svolgersi in un suo clima di libertà e di coraggio». Coraggio di accettare la realtà quotidiana e tradurla in una rappresentazione cara ai poeti: da Betocchi a Gatto, che scrisse: «libera finalmente la sua origine, la sua storia che non è fatta di tempo, ma di infinita sospensione». E in questa sospensione psicologica si «scoprono» il «Giocatore di biliardo» e «Casolare», il «Paesaggio a Greve» e il «Mangiatore di asparagi», in una sequenza di linee forti, di ancestrali malinconie, di volti seri, dolorosi, in perenne attesa di un evento che riscatta l'uomo dalle consuetudini, dalla banalità, per affermare l'esigenza di una «partecipazione umana alla vita». Nel 1950 espose alla mostra «Arte Italiana Contemporanea» di Palazzo Strozzi a Firenze, l'anno successivo venne invitato a Innsbruck e, nel 1955, gli fu ordinata una personale a Bologna. Soprattutto la pittura di Rosai appartiene al proprio retroterra culturale ed è, contemporaneamente, diversa ed unica, nella volontà di rendere ogni cosa più concisa, più scarnificata, più vicina al mondo ristretto delle osterie, dei giocatori di carte, delle strade antiche di Firenze, delle botteghe del centro storico, delle figure di «uomini e donne del popolo che lentamente indurivano la loro sostanza ed i loro contorni nella sostanza e nei contorni di monumenti di pietra» (Luigi Carluccio). Si deve, perciò, guardare all'arte di Rosai come a un continuo e inesausto desiderio di prevalicare il vero inoltrarsi in uno spazio di personali rivelazioni, di inquietudini che si stemperano in opere quali «L'elemosina» e in una delle versioni di «Via Toscanella», la «Fucina» e ^Incontro a Gardone». Vi è, naturalmente, nella sua «scrittura» una straordinaria «resistenza» verso un dipingere facile e facilmente leggibile, per analizzare sempre più radicalmente la condizione umana per trarne le intime rispondenze, la sofferenza e la tragedia, l'angoscia e le frustrate aspettative. Tutto, appunto, parla di un'esperienza dura e misteriosa, vitale e sensibile, altamente lirica e scandita nella consapevolezza che vi è: «unico tormento: l'arte; sola preoccupazione: donare». [an. mis.]