Il regista si confronta con il testo di Genet

LE SERVE DI CASTRI STABILE/CARIGNANO LE SERVE DI CASTRI // regista si confronta con il testo di Genet PRIMO testo rappresentato, nel '47, di Jean Genet, «Le serve» rimane un manifesto dell'estetica dell'autore francese, nonostante egli se ne sia poi distanziato a causa della canonizzazione che se ne fece. L'atto unico, spessissimo rappresentato all'estero, è stato allestito molte volte anche in Italia, ma Genet rimane per le platee nostrane ancora un universo misterioso, più conosciuto per la sua vita burrascosa - i furti, il riformatorio, la Legione Straniera, l'omosessualità - che per le sue opere. A Torino «Le Bonnes» apre la stagione griffata Stabile del Teatro Carignano, in scena dal 30 ottobre all' 11 novembre, per la regia di Massimo Castri. Vi recitano tre leonesse del palcoscenico, Lucilla Morlacchi, Paola Mannoni e Anita Bartolucci. Scene e costumi sono di Maurizio Baiò. Autore «maledetto», Genet, per la sua pièce, prende spunto da un fatto di cronaca nera, il caso delle sorelle Papin, due cameriere che negli Anni Trenta a Les Mans assassinarono ferocemente la loro padrona. La riproduzione della realtà diventa nel dramma una scusa, un'occasione per dimostrare la sua «irrealizzazione», la falsità di ogni gesto compiuto. «Una fiaba, bisogna credervi e non credervi nello stesso tempo - scrive l'autore -. Questa commedia è una novella, vale a dire una forma di narrazione allegorica, il cui scopo iniziale, nel momento in cui la scrivevo, era forse quello di disgustarmi di me stesso, svelando e nascondendo, nello stesso tempo, la mia identità...». Alla base, la convinzione che il teatro nasce là dove può avvenire l'usurpazione di un'altra personalità, dove è consentito farsi ciò che non si è. Così le due serve celebrano sempre in assenza della padrona il rito del suo omicidio, travestendosi: Claire diventa Madame e Solange prende il suo posto. Ma non è la signora che si vuole uccidere, bensì la sua immagine. L'opera è pervasa di un feticismo sontuoso che Castri nella sua versione affida soltanto alla scenografia, tutta ridondanze e stucchi dorati, ma per il resto abolisce. C'è, in queste «Bonnes», il consueto «svuotamento» caro al regista, alla ricerca del dramma borghese e dietro, pronto, l'alibi, per le due donne, di una vena di follia. ''Cristina Caccia

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