NELLA CASA DI MASACCIO SEI PITTORI FRANCESI CN IRONIA

NELLA CASA DI MASACCIO NELLA CASA DI MASACCIO SEI PITTORI FRANCESI CON IRONIA ri, dai sessantanni di Gilles Aillaud e di Henri Cueco ai poco più di trenta di Eric Bardet. Dall'uno all'altro, ciascuno presente con gruppi di opere fortemente coerenti e di medesima datazione, è spettacolo singolare e affascinante cogliere l'incrociarsi di questi «sguardi» e delle loro variatissime modalità trasfiguranti (così che risulta evidente la vacuità di formule generiche come figurazione e neofigurazione); ma è ancora più affascinante il constatare che ciascuno, nella tenuta qualitativa costantemente alta, considera e nello stesso tempo spiazza e contesta, proprio in nome della soggettiva creatività della visione, le varie mode recenti della figuratività. I casi più evidenti sono proposti, da un lato, nel primo' salone, dalle grandi tele di Aillaud e vastissime carte dipinte di Cueco, dall'altro, nella sua sala, dai tre acrilici del 1965 dell'haitiano Hervé Télémaque, forse il più noto per la sua formazione newyorkese e la sua frequentazione surrealista. Aillaud e Cueco contestano con grande finezza ed eleganza pittorica, squisitamente francese, le gelide presunzioni dell'iperrealismo; il primo attraverso I lerré réléiiHKjiie: «fcxaile», /%•» (/iarl.) cembre, ò di scena la Francia, con un raffinato catalogo Art. World Media-Giunti. Nel nome de «Le risorse dello sguardo» (Del Guercio in catalogo: «la figurazione, la decisione di rappresentare oggetti riconoscibili, in quanto necessità derivata, sottoposta a problemi essenziali di linguaggio, soprattutto relativi alle relazioni fra vista e visione... fondata sull'acutezza di uno sguardo trasfigurunte») espongono sei pitto¬ Sono mostre che fanno il punto su determinate situazioni «nazionali» nel nome, innanzitutto, di radici culturali, nella piena attualità, che offrono agli artisti prescelti una dimensione, uno spessore umano e vitale non transeunti con le mode, gli affanni e le mestizie delle contigue rotture e superamenti e «post»-teorizzazioni. La mostra dell'anno scorso era stata dedicata all'Inghilterra, «Eros in Albion». Quest'anno, fino al 9 di¬ ; l'inganno ottico di evocare una spazialità infinita per le sue «riprese» molto ravvicinate di sabbia e acqua, attraverso un'abbacinante solarizzazione; il secondo dando un'apparenza di minuzia ai suoi Feu de pré, soffocati e serpeggianti in cumuli a tutto campo di fogliame e detriti, a quella che in realtà è una pittura di velocissima gestione e manualità, con il risultato spiazzante di una sorta di Pollock o di Tobey «alla Moneti). Giochi, ma di gran bella pittura e «visualità». Lo stesso uso alternativo di un modello fra ironizzato e smontato dall'interno riscontriamo in Télémaque nei riguardi della Pop Art (quella americana ma ancor più, con perfetta conoscenza e coscienza culturale, quella originaria, inglese). La sua operazione presenta qualche affinità con quelle italiane di un Tadini o di un Nespolo, ma ancora una volta contano le radici di una grande tradizione pittorica, da Matisse a Léger a Hélion. A dimostrazione dell'ampiezza delle possibilità attuali di «vedere» pittura senza cadere negli equivoci del revivalismo, nel salone-granaio superiore si confrontano i due diversissimi concettualismi di