Arte russa e rossa dall'800 ai Soviet

Arte russa e rossa dall'800 ai Soviet Due secoli in mostra a Torre Canavese Arte russa e rossa dall'800 ai Soviet TORRE CANAVESE UASI due secoli di storia della pittura russa sono di scena nel Castello di Torre Canavese. A cura della galleria Datrino, l'arte figurativa tra i primi dell'800 e la seconda metà del 900. Due sezioni: «Pittura Russa dal Museo di Kiev 1800/1950» e «L'Arte rossa dei soviet 1945/1970», che nel 1989 si era imposta nella rassegna «Arte Russa e Sovietica» al Lingotto. Ora si vedono i dipinti provenienti da Kiev: «Questa è la prima volta - sottolinea in catalogo Tamara Soldatova, direttrice del Museo d'Arte Russa - da quando il museo esiste, che una tale quantità di opere lascia le mura domestiche e viene mandata oltre i confini del Paese». L'iniziativa delinea il percorso di un'identità espressiva che nota Giuliano Briganti - appare lontana da una precisa connotazione: «Nonostante queste mostre, credo si possa affermare che non sia molto familiare agli italiani il profondo sentimento nazionale che emana da quella grande stagione della pittura russa che, dopo la conversione all'Occidente del tardo Settecento e l'acculturamento del periodo Neoclassico, va dal Romanticismo al Realismo, dall'Impressionismo al Simbolismo...». Lo stile emerge dalla ferma compostezza dei ritratti e dalle distese cadenze dei paesaggi rasseneranti, a tratti fiabescchi; dai volti scavati dei contadini (che sembrano uscire da una pagina di Tolstoj),; dalla fresca vena coloristica delle composizioni floreali, degli interni con bambine e tavole imbandite, di studenti della Facoltà dei lavoratori. La rappresentazione acquista una sua indiscussa unicità, una volontà di trasmettere l'emozione di un momento o il declinare della luce sull'ampia veduta di Roma da Monte Mario, realizzata da Cernecov nel 1874. In particolare si ravvisa che proprio in Italia, alcuni di questi pittori hanno trascorso lunghi soggiorni come Polenov, Svedomskij e Brjullov, che lavorò a Roma tra il 1823 e il 1835, o Neff, membro dell'Accademia di Belle Arti di Firenze, o Korovin, autore dell'impressionistico Rose sulla terrazza del 1910. Si tratta, inoltre, di personalità che hanno operato in vari settori dell'ambiente dell'arte: Rerich fu impresario teatrale per vari spettacoli di Diaghilev a Parigi e Londra; Bogorodskij insegnò presso l'Università Cinematografica dell'Urss; Fal'k fu uno degli artefici dell'Associazione «Fante di Quadri» (19101917), mentre Vrubel' eseguì lavori pittorici nella chiesa di S. Cirillo e nella cattedrale di S. Vladimiro a Kiev. L'indagine intorno a questi artisti si snoda nel Castello di Torre Canavese con coerenza e pone in primo piano l'Albero tagliato di Siskin, fondatore delle Mostre itineranti, e la Primavera precoce di Savrasov, la soffusa luminosità della Veduta dell'isola di Capri di Ajavazovskij e il Ritratto di ragazzo ucraino (1980) di Nikolaevic Ge(Ghe). L'esposizione, che resterà aperta sino al 25 novembre, rivela la suggestione del linguaggio di Repin che dipinse, nel 1880, Isbà ucraina e nel 1896 Le ragazze a passeggio e la pastorella, con un tratto elegante, reso più prezioso dalla luce che inonda le scene. In uno dei suoi scritti prende forma e consistenza l'incontro con Tolstoj: «Nonostante gli indumenti dimessi e le scarpe senza calze, colpiva per la sua imponenza (...). Eppure, aveva un'anima buonissima, era il più delicato degli uomini e un autentico aristocratico quanto a maniere e finezze di linguaggio (...). "Ogni tanto - mi disse una volta mentre passeggiavamo -, mi piace fermarmi a pregare nel folto del bosco"». La mostra rinnova l'appuntamento con la Natura morta con aragosta e fagiano di Kustodiev e la Chitarra di Ermilov, elaborata secondo una «pensata» scomposizione dei piani vicina ai modi del cubismo. Nell'ambito più strettamente legato al realismo socialista, per lungo tempo espressione uficiale dello Stato (tanto che Lenin aveva detto: «L'arte è uno dei compiti generali del partito»), si annoverano un centinaio di «pezzi» che fanno parte di una stagione caratterizzata dalle mostre nelle fabbriche, nei Kolkoz, nelle caserme. Queste opere testimoniano una «lettura» della realtà contrassegnata dai cantieri di Burak, dalle figure di giovane agronomo e di manovratore esaltate da Galickij, dalla raffigurazione dei partigiani nel bosco di Kostinskij o di Lenin sulla Piazza Rossa di Lysenko. Non mancano le festose danze russe interpretate da Zinov, il saluto dell'Armata Rossa di Zacharkin, i combattimenti e i soldati di Surin, sino alle più serene sensazioni delle nevicate di Mosin, il fiume Talica di Laptev e la delicata impressione Sul fiume Moscova di Gurvic, che riassume il fascino di un vedutismo permeato dalla luce polverizzata nel colore. Angelo Mistrangelo Aleksandr Filippovic Burak: «Lenin e Gorkij a Capri» (Olio su tela)