Baruffe con Goldoni e inchini in maschera nel cuore di Montparnasse di Bruno Quaranta

Baruffe con Goldoni e inchini in maschera nel cuore di Montparnasse Per la Comédie Italienne che compie 16 anni, gran successo a Parigi: da duecento sere e più regge in cartellone «L'Inganno Fortunato» Baruffe con Goldoni e inchini in maschera nel cuore di Montparnasse Nelle celle dove fu rinchiuso Celine un ex sessantottino guida la rivincita del teatro italiano D- ICIASSETTE, rue de la Gaité. Il numero menagramo per eccellenza e la gioia a tu per tu: un'a crobazia italiana nel cuore di Montparnasse, fra il richiamo delle «huitres», delle ostriche, e lontani echi di Bubu. Increspato e innervato di maschere, il biglietto di visita della Comédie italienne è una quinta che si affaccia sulla strada crivellata di luci. Oltre la fessura, il botteghino, dove attende una figura bionda, diafana epperò concreta. In sala, Attilio Maggiulli, quarant'anni e un po', metteur en scène, riccioli e fosfori bizzarri, avambracci torniti, artigiani, occhi in fuga lungo i binari dell'immaginario. E orgogliosi con garbo. Da duecento sere e più regge il cartellone L'Inganno Fortunato (o Amor Vendicato), un canovaccio di Goldoni: voci e gesti al diapason di Hélène Lestrade, Georges Becot, Jacques Pater, Rita Nicot, Jean-Loup Bourel. Afferra lo stupore, Maggiulli: «Longevo questo amour lagunare? E' un'opinione molto italiana. Nel vostro-rnio Paese la vita del tal testo nel tal teatro è solitamente così breve, brevissima». La Comédie esordì nel '74, in rue de Maine, a poche battute da rue de la Gaité, dove ha tra¬ slocato nell'80. Il suo calepino, finora, è di trentatré pagine: dieci «firmate» Goldoni, le altre da autori sospesi fra il Quattrocecento e il Novecento: l'Aretino e Pavese, Machiavelli e Gramsci, Ruzante e Arpino, Piccolomini e Malaparte. Con Ceronetti («La Iena di San Giorgio») in attesa di salire sul palco: «Ma domarla, cucirle addosso un abito francese chiede tempo il regista - non è uno scherzo». Goldoni nume della Comédie: in omaggio (anche) al suo modo di essere «artisan du théàtre». Un modello, per Attilio Maggiulli. Indugiando sul «grafomane di genio», rammenta a se stesso: «Conosceva gli attori, le loro fobie, i loro limiti, le loro superstizioni, le loro miserie, le loro qualità, e li amava». Una bussola veneziana che consente di non smarrire il bandolo registico: «Sono sette i miei comédiens. Cerco di variare il meno possibile la compagnia. Solo una lunga frequentazione, un'assoluta complicità esaltano il gioco teatrale». Goldoni, ovvero «Arlecchino servitore di due padroni». Il passe-partout mondiale del «Piccolo» sollecita la memoria di Attilio Maggiulli: «Quando decisi di inaugurare la Comédie andai da Strehler. "Non posso offrirti nulla - mi accol¬ se -. Se non la libertà di frugare nei magazzini del teatro: prendi ciò che ti serve". Fu così che tornai a Parigi con i costumi dello storico "Arlecchino" interpretato da Ferruccio Soleri. Me li chiesero in prestito per il quarantesimo anniversario del "Piccolo". Risposi no: di sicuro non me li avrebbero restituiti». Sul palcoscenico Maggiulli giunge sospinto dal Sessantotto, consumato a Torino con i Bobbio, i Viale, gli Avanzini, soffitta dietro la Gran Madre. «La rabbia accumulata in quella stagione - ripensa - imboccò sentieri diversi. Io la sfogai o la esorcizzai calandomi nel teatro di strada. Cominciavo da quasi zero. Alle spalle avevo una curiosa esperienza d oltreconfine, a Saint-Tropez: alabardiere nella rappresentazione dell'unica pisce di Picasso». Costa Azzurra, Torino, Milano, il «Piccolo». «Il mio maestro non fu Strehler, ma Paolo Grassi. Non era un pedagogo, era infinitamente di più. Ricordo le sue lezioni. Apriva il giornale, gli occhi cadevano sul fatto di nera. "Arlecchino domandava - come si sarebbe comportato al posto del maresciallo?". E improvvisava. Oppure: moriva Vilar: ne officiava le esequie vere tracciandone il profilo in quattro ore, poi scappava, verso i funerali uffi¬ ciali, di cartapesta». Arrivano gli spettatori, le settanta, ottanta poltroncine di velluto rosso in breve si abbassano, come ogni sera. Uno sguardo alle locandine di tre lustri, artistiche sentinelle lungo le pareti («Aldo Caputo, responsabile della Libreria Francese di Torino, ne è un abile venditore: un merci da Parigi») e Attilio Maggiulli arretra dietro il sipario, dove signoreggiano spiriti illustri. Narra il regista: «C'era una volta, qui, il commissariato di Montparnasse. Le celle di ieri (vi sostarono Celine e Giacometti, Picasso e Modigliani, Utrillo e Tristan Tzara) sono, oggi, i camerini degli attori». Ancora un passo e si è in giardi io: ghiaia, rampicanti, sedie e tavolini bianchi, d'impronta liberty. Fra i tanti confrères che apprezzarono questo angolo intonso di Parigi, Maggiulli evoca Arpino, di cui mise in scena «L'uomo del bluff». Protagonista femminile, Mado Maurin: «Un antico genio che allarga intorno a sé cerchi di potere unici - la ritrasse lo scrittore torinese -. Esercita magia e impero, sfida la stanchezza mortale pur di vincere». «Quando - interviene il regista - gli annunciai che Mado, una Milly, se possibile, con più vigore, aveva accettato la par¬ te, Giovanni, lusingato, s'informò: "La pagherai, e bene"». «Poco», lo delusi. E lui: «Tanto distacco dal denaro impone a noi autori di non imbrattare fogli: certi attori vanno compensati, innanzitutto, contesti vertebrati». In sala sfumano la baruffe goldoniane. Lo spumante, nella bottiglia inclinata, aspetta di suggellare il giornaliero «dovere di presenza italiano». Fuori, chissà come, affiora il nome di Leone, un anarchico amico di Gobetti: «Uno scultore funerario. Modellava le statue maschili a immagine di Marx, quelle femminili a immagine di Rosa Luxemburg». L'atmosfera fiabesca aguzza i sensi, alleva le suggestioni. Pare di intendere (Maggiulli l'accoglie cordialmente, per un attimo depone il suo piglio giacobino) una voce d'antan. Recita un frammento di Dominique, lo spinato cavallo a dondolo di Fromentin: «Quel corteo rimbombante di uomini armati e di grandi cavalli sollevò dal selciato sonoro un rumore metallico (...). Olivier si assicurò della direzione che prendevano le carrozze; poi quando l'ultima fu scomparsa: "Già - disse con la soddisfazione di chi conosce bene Parigi e la ritrova -: il re stasera va al Théàtre-Italien"». Bruno Quaranta niobi issi: etbourgeoisie ^GOLDONI mi. LA COMÉDIE ITALIENNE srul uMiiie ìuìkk m Futa■ I?. iik<ìc la l>4ii« PARIS il' Ul ttl.2J.2i Una locandina della Comédie Italienne con le maschere di Goldoni

Luoghi citati: Maine, Milano, Parigi, Torino