L'illusione perduta delle donne premier

L'illusione perduta delle donne premier CORY-VIÓLETA-BENAZIR L'illusione perduta delle donne premier LE avevano elette a simbolo dell'emancipazione dei loro Paesi. Benazir è già caduta; Cory e Violeta stanno vacillando. Sono tempi duri per la specie rara delle donne premier. Nella bufera degli indebitamenti e della recessione che sta spazzando il Terzo Mondo, erano anelli deboli. E stanno pagando per prime. La parabola di Benazir Bhutto, in Pakistan, si è conclusa giovedì, con la pesante sconfitta nelle elezioni volute e manipolate dai militari e dai latifondisti islamici. Violeta Chamorro, in Nicaragua, ricopre ancora il ruolo di presidente. Ma non conta quasi più nulla. Altri decidono, altri fanno. Nessuno si stupirebbe se, domani, arrivasse l'annuncio della sua destituzione. Cory Aquino, nelle Filippine, è scampata a sette tentativi di golpe in poco più di 4 anni. Il suo mandato scade nel '92. Ma, visto il clima che regna a Manila, non è affatto certo che riesca ad arrivare fino in fondo. Nonostante l'ombrello, peraltro sempre meno protettivo, di Washington. Il destino di queste tre donne premier, pur appartenendo a Paesi diversissimi fra di loro, presenta analogie notevoli. Le loro vicende possono essere lette come varianti di uno stesso copione. Benazir figlia di Ali, Violeta moglie di Pedro, Cory moglie di Benigno. Tutte sono state spinte alla politica dalla morte violenta dei maschi di famiglia, assurti al ruolo di martiri. Tutte sono giunte al potere sull'onda dell'emozione, sbandierando le immagini dei congiunti assassinati. Hanno vinto le loro battaglie elettorali negli anni in cui il confronto tra Usa e Urss si stava affievolendo. In un modo o nell'altro, sono state un frutto della distensione, la prova concreta che Washington e Mosca non avevano più interesse a sostenere regimi totalitari. O presunti tali. Benazir, Violeta e Cory hanno impersonato la speranza che la strada della democrazia, del consenso popolare, dello sviluppo senza traumi, fosse possibile anche nei Paesi del Terzo Mondo. Oggi, questa speranza ha subito fieri colpi. E' diffìcile credere ancora che esistano scorciatoie per la democrazia, magari improvvisando leader che vivono di luce riflessa. 11 Pakistan, il Nicaragua e le Filippine non sono riusciti ad avanzare di un passo. La crisi economica che sta travagliando i tre Paesi è tale da lasciar intravedere scenari intrisi di pessimismo. lslamabad è stata la prima a franare. I militari, che avevano perso il potere nel novembre dell'88, con il disastro aereo che pose fine alla carriera sanguinosa di Zia ul-Haq, adesso se lo sono ripreso. Lo hanno fatto mandando avanti prestanome civili, e con elezioni formalmente regolari. Ma il modo con il quale hanno cacciato Benazir dal governo e la campagna di denigrazione che le hanno costruito intorno, dimostrano che la sostanza del regime militare non è cambiata. A Manila, con una conaad- Cory Aquino dizione solo apparente, sono invece proprio i militari a tenere in vita il governo di Cory. Che è appeso ad un filo. Solo la presenza delle basi americane, con i legami diretti tra Washington e i vertici delle forze armate filippine, ha finora messo un freno alla destra dell'esercito e ai nostalgici di Marcos. Ma l'importanza strategica delle basi Usa, ora che la Guerra Fredda è finita, diventa sempre meno consistente. E non è detto che l'America abbia ancora a lungo volontà e interesse di sostenere la vedova di Benigno Aquino. A Managua la situazione è, se possibile, ancora più incerta. Violeta è al potere da appena sei mesi. Vi è giunta solo perché i sandinisti, non più appoggiati da Mosca, hanno deciso di accettare il responso delle urne. Ortega non è più presidente, ma in realtà controlla ancora l'esercito e la polizia. E, quel che più conta, ha ancora l'appoggio reale di almeno il 48% della popolazione. Violeta, invece, non può contare su nulla. La coalizione che l'ha portata al potere si è praticamente dissolta il giorno stesso della vittoria elettorale. 1 suoi veri nemici, in questo momento, sono la destra più ottusa, le bande paramilitari dei contras, l'arcivescovo ultrareazionario Obando y Bravo. Da Miami i parenti di Somoza, cioè del dittatore che le uccise il marito e contro il quale i sandinisti combatterono la loro rivoluzione, hanno nei giorni scorsi avuto l'arroganza di chiedere la restituzione dei «beni di famiglia»: delle fabbriche, dei latifondi, dei palazzi che avevano rubato in decenni di potere assoluto e feroce. Per sostene- re i contras, Washington aveva speso fino a 900 milioni di dollari all'anno. Adesso, praticamente, nega a Violeta ogni sostegno. Basta una scintilla per far ripiombare il Nicaragua nella guerra civile. Dietro alle traversie di Benazir, Violeta e Cory c'è la crisi che sta attanagliando le fragili economie di Paesi che qualcuno si ostina a definire «in via di sviluppo» e che in realtà stanno facendo, all'indietro, ~>assi da gigante. La fine della dicotomia Est-Ovest non ha risolto quella Nord-Sud. Anzi. La crisi del Golfo ha portato nei Paesi industrializzati una raffica di aumenti, di prezzi e di tasse, che eufemisticamente chiamiamo «stangata». Nei Paesi poveri, le conseguenze si misurano in un aumento dei morti di fame e dei livelli, già altissimi, di violenza. L'impressione è che il futuro stia tendendo ad un mondo sempre più diviso non solo tra Paesi ricchi e Paesi poveri, ma anche tra Paesi democratici e Paesi senza libertà, in preda a scoppi endemici di guerre civili. E' un mondo che fa orrore da an punto di vista morale. Ma non è solo questo il problema. Alle coscienze si può anche mettere la sordina. Ciò che invece l'Occidente sembra essersi dimenticato, è che il «contagio» non si può arginare a lungo. Non c'è torre d'avorio che resista per sempre all'assedio della fame e della violenza. Silvano Costanzo Cory Aquino

Persone citate: Benazir Bhutto, Benigno Aquino, Cory Aquino, Ortega, Silvano Costanzo, Somoza, Violeta Chamorro