Quante vite di sabbia e di vento nel «moderno» Iran
Quante vite di sabbia e di vento nel «moderno» Iran Torino: al Museo una interessante rassegna dedicata al cinema khomeinista, tra propaganda, denuncia e inventiva Quante vite di sabbia e di vento nel «moderno» Iran Anche l'accenno al dolente conflitto con l'Iraq, visto con occhi di bambino TORINO. Sotto la crosta aspra del deserto alcuni minuscoli fiori incredibilmente vivono delle stille captate da remoti corsi d'acqua. Sotto la teocrazia aspra di Khomeini il cinema iraniano arcanamente si è sviluppato all'insegna del lirismo e della denuncia. Ecco i 71 succinti minuti di Acqua, vento, sabbia che sarebbero degni di entrare nella più sofisticata delle cineteche. Un ragazzo, che aveva lasciato la famiglia in cerca di lavoro, torna perché ha sentito dire che il lago - fortuna di un'immensa zona desolata - è seccato costringendo i contadini a paurose migrazioni. Comincia la ricerca ostacolata dal vento che solleva rabbiose tempesta di sabbia. Secondo l'impostazione del regista Amir Naderi noi seguiamo talora il film in soggettiva, cioè con gli occhi del giovane protagonista Majid Nirumand, che vedremo direttamente in viso soltanto in rare occasioni. Una folla di fantasmi si muove accecata dalla polvere verso mete assurde che si allontanano di ora in ora. Al ragazzo suHe prime non dispiace di scambiare qualche parola con i nomadi che resistono all'ombra delle loro cupe tende nere e non dispiace di regalare la capretta che aveva portato per i suoi, la quale sarebbe condannata nell'aridità del lago essiccato. Ma presto conosce la prepotenza, intuita con una dolce visione passatista da Naderi, sotto forma dei motori che percorrono quest'inferno in terra. Un motociclista si fa servire con arroganza da bere a una fontana e si allontana scoppiettante, i camionisti si servono dell'acqua preziosa da bere per fare la toeletta delle macchine possenti. L'odissea conosce un momento di gioia, quando Majid riesce a salvare un piccino abbandonato obbligando con astuzia una misera comunità di ombre vaganti a dargli almeno da campare. Ma a poco a poco l'ossessione dell'acqua si farà inesorabile e nell'ultima bizzarra sequenza il piccone del ragazzo per mera fantasticheria scaverà un pozzo destinato a sommergere nell'abbondanza la piana fatale. Con Acqua, vento e sabbia si è aperta al Massimo, nella sede del Museo Nazionale del Cinema, la rassegna itinerante dedicata al moderno cinema iraniano sulla base della positiva sorpresa riscontrata in primavera alla Mostra del Nuovo Cinema a Pesaro: una dozzina di titoli che proficuamente ci accompagnano dal fallimento d'un mirabolante spettacolone immaginato sotto la dinastia del Pavone all'imporsi d'un dipartimento cinematografico di propaganda islamica, con ampie aperture per le personalità più forti sollecitate da occasioni di fronda lirica e politica. Di per sé L'ambulante di Mohsen Makhmalbaf sarebbe un film di dottrina. Ma tanta è l'inventiva ostentata dal regista nel raccontare tre storie miserabilistiche ravvivate da personaggi i quali si reincarnano o fideisticamente ricompaiono, che tornano alla memoria i passaggi più lirici di opere come il Golestan per di più intrisi di moderna letteratura (gli sforzi d'una coppia d'infelici per collocare la figlioletta in una famiglia ricca affinché sfugga al destino di fame e di rachitismo vengono dritti dritti dalla novella Il pupo di Alberto Moravia). Nel secondo episodio, con una mamma-mummia ossequiata da un figlio debole di mente, il riferimento è addirittura Psycho di Alfred Hitchcock. Ma l'attonito Morteza Zarrabi non è Anthony Perkins né la vecchia signora si direbbe morta sul serio: Makhmalbaf dipinge un disagio universale con rime e metafore da poesia. Alla prosa, nel senso dello scampare alla vendetta immotivata d'una gang, penserebbe magari l'ambulante del terzo episodio. Eppure la struttura del film lo obbliga a vagheggiare poeticamente di avventure e fughe, per arrestarsi di botto di fronte al presagio di un agnello (messianico?) sgozzato tra l'indifferenza generale. Con Bashu, il piccolo straniero c'immergiamo nel dolente conflitto tra Iran e Iraq. Bahram Beyza'i descrive con qualche ingenuità l'odissea d'un orfano e profugo, scegliendo colori squillanti come la fantasia d'un bambino che deve sgominare l'orrore regalatogli dagli adulti. Piero Perona Guerra Iran-Iraq. In un'immagine del 1988
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