Arte è un bronzo o il colore d'una preghiera di Angelo Mistrangelo

Arte è un bronzo o il colore d'una preghiera A Sciacca una mostra-indagine sui risultati dell'intensa ricerca artistica negli Anni Ottanta Arte è un bronzo o il colore d'una preghiera Dopo le lacerazioni dell'avanguardia, si torna all'«antico» il SCIACCA " ARTE contemporanea si misura con il proprio i tempo, con le trasforma- LJzioni della società, con i mutamenti politici che hanno cambiato il quadro di riferimento, i rapporti, le spinte progressiste. L'arte si interroga sulle trascorse stagioni, le svolte programmatiche e di corrente, l'intensità di una ricerca che ha segnato tutto il XX secolo. La rassegna «Anni Ottanta in Italia», allestita nell'ex Convento di San Francesco, sino al 4 novembre vuol essere una prima catalogazione degli aspetti, diversi e divergenti, di una cultura dell'immagine che ha scandito la vicenda degli artisti invitati. L'itinerario proposto - scrive Philippe Daverio in catalogo non «tenta d'individuare scuole o filoni linguistici, non vuole affrontare giudizi di merito estetici. E' molto più vicino ad una indagine di carattere antropologico sui comportamenti degli artisti più significativi». Una visione d'insieme che riafferma il ruolo di presenze legate a liriche atmosfere, a più realistici paesaggi urbani, a intense figurazioni espressionistiche, a eleganti citazioni e all'anteriore energia dei materiali impiegati: «L'accentuazione dei valori del materiale - hanno affermato M. Grauer e W. Jacobnel per le opere di "Aperto 90" alla Biennale di Venezia - non viene in alcun modo limitata, ma essa forma ora il punto di partenza per una recenzione progressiva». Il risultato che ne consegue è quello di un'arte in cui «il vantaggio decisivo sta nella qualità di inquietudine e nella natura enigmatica che si contrappongono sempre di nuovo, a loro modo, alla realtà». Il discorso appare, quindi, ricco di tensioni che, però, si stemperano nelle forme, nei colori, nella luce che traduce ogni testimonianza in rappresentazione, in segnale, in un af¬ fiorante ricordo. E in questo ricordo si intersecano il plasticismo «classico» di Bergomi e il bronzo di Cina, i ritratti in terracotta di Stephen and Natasha Spender del londinese Spender, che vive nelle colline del Chianti, e l'arcana magia di Paladino. La sequenza delle opere si configura, inoltre, con il recuperato spazio del convento, con la segreta identità della pratica del dipingere che, dopo le lacerazioni prodotte dall'avanguardia, è ritornata - è stato detto - all'«antico». Gli artisti, «incuranti degli stili personali e dei dibattiti linguistici», hanno riaffrontato e ritrovato la tela quale mezzo per trasmettere il proprio pensiero, le illuminanti intuizioni, l'incanto di un'interpreta zione che unisce visi estatici e interni orientali (Di Stasio e Mondino) alle «stanza» della Tolomeo, sino ad approdare alla soffusa malinconica quotidiana di Savinio, agli oggetti d'uso comune trascritti da Faravelli in acquarelli dalla delicata intonazione letteraria. Su questo versante, superate in parte le sezio¬ ni predisposte dall'ordinamento operato da Giovanni Quadrio Curzio, s'incontra la particolare tessitura dell'encausto di Lansing, il lungomare reinterpretato da Andrea Nelli, l'assoluta poesia delle «ombre della sera» che rivelano a Guccione il clima di una natura intrisa di umori lontani, di silenzi, di attese che scandiscono il percorso dell'uomo attraverso la memoria del tempo. E dalle sedimentazioni del tempo si concretano le «impressioni» di Nucci, immerse in una rarefatta luminosità che avvolge palazzi e alberi e giardini. L'in dagine ritrova, poi, cadenze, decisamente più nitide nelle foto grafie di Basilico, che ha ripreso i Lanifici Rivetti in demolizione e la Stazione centrale di Milano, mentre in Cantafora si ravvisa la fredda oggettività di strutture architettoniche rigorosamente concepite. La magia dell'immagine riaffiora nella quarta sala, dove il linguaggio degli autori va al di là delle istanze della Pop Art per rivendicare «le proprie origini», la propria dimensione come nella lampada di Sottsass, nel Pae saggio di Salvo e nella Preghiera del torinese Max Pellegrini, nel la quale misticismo e tradizione, sofferenza e ancestrali emozioni si compongono nell'unità della luce che delinea musicanti ghirlande di fiori e un infante Le risultanze di questa rassegna si articolano ancora, lungo l'onirico dettato di Clemente, Cucchi e De Dominicis; l'argilla plasmata da Guttuso Lo Monte per ricreare Tre alberi sotto la pioggia; il nudo di schiena della Gandolfi e il marmo di Borghi; il gesso colorato di Bestetti e Barni, Gorky, Marzot, Bueno, l'autoritratto di Ragusa, l'acrilico Robespierre di Tastafiore che «gioca con maestria le carte della Storia» (Lea Vergine). E dalla storia prende l'avvio il «dire» di Carlo Maria Mariani, le sue «affinità elettive» con Goethe e David, la capacità di reinterpn-tare una «citazione» del passato. Questo perché - ha notato Laura Cherubini - per «Mariani il problema non è recuperare il passato, ma essere di un altro tempo. Non c'è ironia, perché non c'è distanza, ma sofferta adesione». Le sue figure neoclassiche si ergono a suggerire un ritratto, un personaggio, un volto che appartiene alle pagine di una cultura limpidamente rivisitata. Angelo Mistrangelo Max Pellegrini: «Preghiera» (1989, olio su tela) tra le opere in mostra a Sciacca (Agrigento) fino al 4 novembre

Luoghi citati: Agrigento, Borghi, Cina, Italia, Milano, Ragusa, Sciacca, Venezia