Algeria un pendolo fra magia e modernità

Algeria, un pendolo fra magia e modernità Il difficile cammino nei colloqui con lo scrittore Mimouni, il regista Bouamari, il pittore Mokrani Algeria, un pendolo fra magia e modernità «Difendiamo la nostra identità, ma senza integralismo» TI ALGERI 0 spartiacque fu quella j rivolta del 5 ottobre I i 1988: centinaia di morti Mdl (ma le cifre esatte non ci sono); ricostruzioni tuttora controverse sul grado di responsabilità dell'esercito (parecchie famiglie di caduti stanno preparando un libro per raccontare che all'origine di quegli spari sulla gente ci furono provocazioni e minacce); un'Associazione vittime del 5 ottobre (AVO) che per quella data indice ogni anno cortei fieri, e rifiuta ogni commistione politica. Cominciò allora il processo di democratizzazione. «Prima, dovevamo esprimerci tutti nell'ambito di una medesima ideologia», dice Rashid Mimouni, lo scrittore più noto fra quelli che vivono in Algeria, tradotto in 11 lingue (tra cui l'italiano), autore di 5 romanzi e di una raccolta di novelle tutti ispirati alla vita quotidiana algerina. «Stavamo andando verso la catastrofe a ogni livello», continua, «e denunciarlo era nostro dovere. Uno scrittore algerino contemporaneo dev'essere la voce della coscienza sociale». Guai ron la polizia, lui ne ha avuti. «Adesso siamo sulla buona strada, bisogna liberare la creatività; qualità straordinarie, impensabili emergono, appena c'è spazio per l'iniziativa individuale». Quarantasei anni, laureato in chimica ad Algeri e in economia in Canada, Mimouni insegna «Economia dello sviluppo» alla Scuola Superiore del Commercio. Parla conciso quanto uno scienziato; niente impennate liriche neppure nei suoi romanzi, dove il coinvolgimento emotivo, padroneggiato con sicurezza, sfocia in uno stile che potrebbe da un lato ricordare Brecht, e dall'altro, specie nel recente «L'onore della tribù», gli antichi cantastorie. Problemi grandi sono la demografia, l'economia e l'urgenza: «Da almeno 3 secoli l'Occidente pratica quell'insieme di valori e di idee che fanno il mondo di oggi. Noi invece non abbiamo tempo, dobbiamo entrare subito nella modernità. Gli scogli più infidi stanno nella mentalità. Per esempio, voi respirate quotidianamente, con naturalezza, il principio di causa/effetto, quello su cui si basa l'intera tecnologia. Mentre qui la vita è ancora intrisa di magia. Andai un giorno a trovare mio nonno, che abita in montagna: avevano appena messo l'elettricità in casa, erano contenti. Sei mesi dopo, li ritrovai a lume di candela. Mi spiegarono che a un certo momento le lampadine si erano spente, bisognava aspettare che si riaccendessero. Magicamente. L'idea che ci fosse una ragione, e dunque un rimedio, neppure li sfiorava. Altro problema, i valori della responsabilità individuale e della solidarietà. Faccio l'esempio più banale: un abbigliamento bizzarro. Uno di voi pensa che vestirsi come gli pare sia un proprio diritto, uno di noi si preoccupa di cosa dirà la gente». In Algeria, il confronto si staglia su un vissuto emotivo vischioso quanto il problema dell'identità. A spezzare i fili con il passato, sono stati prima di tutto quel secolo e mezzo di integrazione con la Francia (i libri di storia dei ragazzini algerini, per esempio, cominciavano con «Nos ancètres les Gaulois»), e successivamente persino la stessa ansia psicologica di scrollarselo di dosso subito, sentirsene fuori, liberati una volta per tutte. «Come se la storia della nostra nazione cominciasse nel 1954 con la lotta per avere il nostro Stato», commenta, amaro, il regista cinematografico Mohammed Bouamari, che sul tema dell'identità ha scritto e diretto tutti i 5 lungometraggi finora realizzati. E parla di sant'Agostino, dell'imperatore romano Settimio Severo, di Apuleio («il primo roman- ziere della storia», di Albert Camus, tutti originari della zona. «Il sentirsi senza radici origina un sentimento di frustrazione profonda», prosegue, «che a sua volta produce esseri umani dal comportamento incerto, non logico, privi di fiducia in se stessi, e, soprattutto, incapaci di prendere in mano il loro avvenire. Non è possibile trovare le forze per rigenerarsi, senza un passato. E gli integralisti islamici ci propongono non un recupero, bensì una fuga all'indietro». C'è un film che, per preoccupazioni religiose, è stato bloccato dalla censura e non è mai stato diffuso in quanto ritenuto blasfemo: «Andata e ritorno», di Ahmed Lallem, altro regista e autore molto attento al sociale. La trama racconta di un personaggio politico che, morto in un incidente di macchina, incontra il profeta in paradiso. «Ci hanno strumentalizzati tutti», dice Lallem, «prima i turchi, poi i francesi, adesso tentano di farlo i fondamentalisti. Non siamo mai riusciti a vivere per come siamo veramente, noi stessi; dobbiamo entrare nel mondo moderno di colpo, senza tradizione. E contemporaneamente alla consapevolezza della perdita della nostra identità, ci accorgiamo di non sapere più nemmeno cos'è, qual è, la nostra identità». Un dramma che il celebre disegnatore satirico Slim ha fatto assurgere a umorismo autoflagellante - «C'era una volta, il nulla», cita una delle sue vignette più note - e che lo stesso linguaggio quotidiano evidenzia in modo palpabile, fisico. A qualsiasi livello d'istruzione, l'intrecciarsi di francese e di arabo è continuo. Ma quanti padri di famiglia, adesso, vanno a scuola di arabo per parlare una lingua ch'è naturale soltanto per i loro figli e nipoti. «Io mi esprimo in francese ma il mio immaginario non ha niente a che vedere con questa lingua», dice il pittore Abelouahab Mokrani, 35 anni, studi all'Accademia di Belle Arti di Algerie di Parigi, l'artista forse più interessante della nuova generazione algerina. «Eppure», riflette, «alla base della nostra lotta di liberazione ci sono state le idee della rivoluzione francese, ed è stata quella lingua ad aprirci le porte del mondo, per esempio della grande letteratura russa, o inglese». «L'identità è un divenire», dice, «sta in ciò che facciamo». In questo Paese ferito, la ricomposizione del proprio «io» diventa sogno, miraggio: implacabile motivo conduttore dell'arte di Mokrani è il «doppio», il «gemello», l'«altro». Quello con cui continuamente ci si vuole fondere e dal quale continuamente ci si vuole scindere. Continui blu, grigi e verdi stagliano volumi scultorei e figure tormentate, che non di rado sfumano in controluce. L'impatto emotivo è sicuro: «L'emozione è la sola intelligenza», afferma, «stimola il cervello e la memoria». Dipinge anche molte figure femminili: a volte con il capo rovesciato e posato su una spalla, oppure nascosto dentro al petto (sul collo, solamente un'ombra ovale, accennata). «Rappresentano qualcuno che ha deciso di dimenticare», spiega. La sperimentazione di tecniche miste è frequente, ma quasi tutte le opere sono su carta: «La preferisco agli altri materiali perché il tempo può lasciarvi i suoi segni, incidere sulle strutture, crearne di nuove, come succede sui muri». «La ricerca è un laboratorio», conclude, «e certo non consente di vivere agiatamente. Probabilmente per questo non pochi artisti e intellettuali anche miei coetanei hanno preferito imitare i francesi; dal punto di vista economico, rende di più». Ornella Rota Un'immagine dell'Algeria di oggi: tradizione e modernità che si affrontano in un difficile momento storico e politico

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