ROMA MIA MODELLA

ROMA, MIA MODELLA ROMA, MIA MODELLA Le «vedute del Piranesi», lezione da approfondire AROMA LL Accademia Americanu si è aperta ieri sera una mostra della serie completa de «Le vedute di Roma» di Giovanni Battista Piranesi. Appartengono alla Fondazione Arthur Ross che le ha acquistate di recente e che possiede una importante collezione di opere grafiche, fra cui incisioni del Canaletto, Goya, Blake e Picasso. La scorsa primavera sono state esposte al Consolato Italiano di New York. Adesso incominciano un giro europeo che, dopo Roma, farà tappa a Palazzo Capponi a Firenze, al Museo Correr di Venezia, al Royal Institute of British Àrchitects di Londra (del quale Piranesi fu membro) e, infine, alla Fondazione Bismarck di Parigi. Nella imponente produzione grafica piranesiana «Le vedute di Roma» occupano un posto centrale e particolarissimo. In un certo senso ne costituiscono la spina dorsale. All'inizio erano piccole incisioni, vendute a 12 franchi l'una e utilizzate per illustrare una guida della città, edita nel 1741, cioè quando egli aveva poco più di vent'anni. Erano schizzi dal vero, rielaborati a studio, con vivaci tocchi pittorici che rivelavano la sua formazione veneziana. Forse nella bottega del Tiepolo ma guardando soprattutto al Canaletto ed ai «Capricci» di Marco Ricci. Ben presto queste «vedutine» furono ingrandite a formato «atlantico» e sette anni dopo venivano vendute, in cartelle, nel negozio del «mercante Buzard al Corso». Incominciò così una vicenda ultraquarantennale, con accrescimenti cronologicamente oggi incerti, che si concluse solo con la morte, nel 1778. Complessivamente 137 tavole, compresi i frontespizi dei due tomi in cui vennero raccolte: nelle successive edizioni il figlio Francesco ne aggiunse due. Fu la sua opera più conosciuta e richiesta, molto più delle «Carceri», divenute famose solo col Romanticismo. Attraverso queste immagini tutta l'Europa conobbe la Roma dei Papi e le testimonianze di quella antica. Con la sua «gran Metropoli», Piranesi fornì da un lato i modelli monumentali ed urbanistici ad alcune capitali europee. Dall'ai tro, stimolò quel gusto delle «ro vine» che caratterizzò gli anni seguenti. Come scrisse Henri Focillon in un memorabile libro: «Piranesi anticipa tutto». Con atteggia mento da illuminista e «triste ardore e forte senso morale», vo leva resuscitare l'ammirazione per la grandezza di Roma, esal tandola genitrice, maestra e mo dello di cultura e di vita. Disse egli stesso nella prefazione alle «Antichità Romane»: E vedendo io che gli avanzi delle antiche fabbriche di Roma vengono a diminuirsi di giorno in giorno, o per l'ingiuria dei tempi, o per l'avarizia dei possessori, che con barbara licenza li vanno clandestinamente atterrando per venderne i frammenti... mi sono avvisato di conservarli col mezzo delle stampe. Gli studi a Venezia Da giovanetto aveva studiato architettura a Venezia, presso uno zio, architetto del Magistero delle Acque. Ma trasferitosi a Roma, a vent'anni, come disegnatore al seguito del nuovo ambasciatore veneto, per vocazione irresistibile subito frequentò il laboratorio dell'incisore siciliano Giuseppe Vasi. Secondo il racconto un po' fantasioso di un contemporaneo, impetuoso e collerico di natura, tentò di uccidere il maestro perché non voleva insegnargli i segreti dell'acquaforte. L'incisione era il suo linguaggio, il suo modo di comunicare. Nella lunga carriera, malgrado la familiarità con alcuni papi, in pratica costruì solo la chiesa e la piazza del Priorato dei Cavalieri di Malta all'Aventino. Ripeteva spesso che quelli non erano più tempi di grandi architetture e che l'unica cosa da fare era inventare, disegnare e progettare. Amico dei borsisti della Accademia di Francia a Roma - artisti che preannunciarono David e gli architetti della rivoluzione francese - era convinto, come loro, che la storia romana restava un modello insuperato. E con passione e tenacia e una certa visionarietà assolse quella che considerava una missione. Senza un momento di sosta, fino agli ultimi suoi giorni, procedette al rilevamento e allo studio delle architetture e antichità romane. Con scrupolo scientifico ma anche con inten¬ ti divulgativi. Divenne archeologo, antiquario e, per essere più libero, mercante della propria produzione. Probabilmente anche per influsso dell'empirismo inglese che gli fu familiare fin da ragazzo. Non va dimenticato che era nato a Mogliano, vicino a Treviso, dove il console inglese Smith possedeva una villa, frequentata da stranieri illustri e dai migliori ingegni del tempo, ed aveva studiato a Venezia dove lo stesso console, con il suo salotto, la tipografia e annessa libreria, fu un veicolo di tali idee. Aveva poi avuto occasione di rafforzarle nella città papale che in quei decenni, essendo la tappa obbligata del Grand Tour, era diventata il crocevia d'Europa. Luogo di discussioni d'avanguardia, fecondate dal pensiero del Vico, arricchite dal Winckelmann e da quegli intellettuali italiani e stranieri che fecero trapassare l'Arcadia nei «lumi» e nel neoclassicismo. Il Piranesi vi partecipò attivamente anche con scritti teorici. Famosa la sua querelle con il Mariette in difesa del primato dell'architettura romana ed etrusca contro quella dei Greci. Senza contare le incisioni con le «Diverse maniere d'adornare camini ed ogni altra parte d'architettura» con cui precorse la moda dello stile egizio. Immagine indimenticabile Ma come dimostra - per la sua completezza - questa esposizione all'Accademia Americana, fu specialmente con «Le vedute di Roma» che influì in modo determinante in quei dibattiti. Molti studi lo hanno evidenziato, per cui non resta che sottolineare come con questi fogli sia riuscito a dare della Città Eterna un'immagine indimenticabile. Con perizia tecnica via via più straordinaria, passando dall'incisione «bionda», lumi¬ nosa, con poche morsure, a contrasti di luce sempre più marcati, a tecniche ingegnose e complesse. E permeglio ottenere il suo scopo, pur rimanendo lucidamente fedele ai dettagli, egli ricorse a sapienti trasgressioni. Manipola il taglio della veduta, altera le fughe prospettiche, allarga gli spazi, focalizza ed enfatizza il monumento. Lo anima con scene picaresche ma minuscole, tenute in secondo piano. Quello che cerca è una dilatazione emotiva che tocchi nel profondo l'osservatore. Per quanto riguarda le nuove architetture, ciò serviva anche a sostenere le idee antirococò della cerchia di intellettuali a cui apparteneva. Ma, come ho detto prima, costituiva soprattutto un'anticipazione dello spirito utopico degli architetti della rivoluzione francese. Una lezione, malgrado l'intelligente impegno finora profuso da tanti studiosi, forse da approfondire ulteriormente. [f. v.] l Ina ch'ussita «cedala» del Piranesi: Mausoleo di Elio Adriano ora ( 'anici S. Ange/o (1754)