L'ACROBATA WILCOCK INVENTA 36 VITE

L'ACROBATA WILCOCK INVENTA 36 VITE L'ACROBATA WILCOCK INVENTA 36 VITE RODOLFO Wilcock era uno scrittore argentino che negli Anni Sessanta viveva in Italia. Non solo viveva in Italia ma anche scriveva in lingua italiana. E allora siamo più nel giusto dicendo che era uno scrittore italiano di origine argentina. Gli Anni Sessanta avevano ricevuto dal decennio precedente una letteratura pesante e di colore scuro, in cui la predicazione e l'imbonimento vincevano sulla levità e la grazia, e l'immaginazione e la fantasia erano messe in scacco dalle pretese della ragione impegnata. Roma, la capitale d'Italia, era grassa di certezze e di rancidi umori: anzi, più che di certezze, di propositi spacconi e di solenni gravità che di essa marcavano non solo la quotidianità sociale ma anche i pensieri e la vita dell'arte. In questa Roma Wilcock passeggiava (anzi trascorreva) come un fantasma, non soltanto per il liscio pallore del volto e la morbidezza del passo, quanto per l'estraneità che opponeva alla realtà circostante. Passeggiava (trascorreva) come un'ombra, ma non furtivamente, godendo, ma rimanendo riservato, della diversità in cui si scontrava. Frequentava la trattoria «Cesaretto», dove lo incontravamo, e il settimanale «Il Mondo», dove pubblicava i suoi «pezzi» e ricavava il tanto per vivere. Si trattava di «pezzi» misteriosi, ma più nel senso che svelavano il mistero della mente che non quello dei luoghi in cui la mente si posava. Io non so (non ricordo) se i racconti (i ritratti) di questa Sinagoga degli iconoclasti (o magari solo alcuni di essi) facessero parte di quei «pezzi» ma certo è la stessa la trama di cui sono intessuti. Una trama fittissima e lieve, composta di fili sottilissimi capaci di disegnare i percorsi più tortuosi e slanciarsi nei sensi più avventati senza smarrirsi e perdere la direzione. Wilcock era uno scrittore acrobata che si divertiva a spingere la realtà alla deriva e poi a tenerla in bilico sul vuoto. Si divertiva a mettere alla berlina la sua (della realtà) presunzione, l'esibizione del suo sapere, l'orgoglio delle sue scoperte, l'ostentazione della sua felicità, la vanteria della sua potenza non bollandola con una gran risata (che non poteva che far scoppiare dall'esterno) ma accanendosi a inseguirla (quella presunzione, quell'esibizione, quell'ostentazione, quella vanteria) fino alle sue estreme, dementi conseguenze. Ne abbiamo un esempio (fortemente riuscito) ne La sinagoga degli iconoclasti, raccolta di 36 esilaranti profili di uomini illustri che, fin dal nome, si raccomandano per la straordinarietà dei tratti biografici. Si chiamano José Valdés y Prom, capace di giocare e vincere partite di scacchi per telepatia, Philip Bauberg, Aaron Rosenblum, Theodor Gheorghescu, dedito a conservare «nel sale un'insolita quantità di negri vivi» perché il giorno del giudizio universale potessero «arrivare al cospetto di Dio in buono stato», Absalon Amet, Yves De I.alande, ecc.. Sono famosi uomini di scienza o comunque severi cultori di discipline affidate a rigorose pratiche di pensieri e tutti sono così compresi dalla missione cui si sentono chiamati da impegnarsi in invenzioni che, a causa dei benefici che dovranno portare al genere umai no, non temono il rischio di ap¬ parire temerarie e spericolate. Così Aaron Rosemblum, condividendo la convinzione dei contemporanei che il tempo migliore è sempre quello di ieri, vuole riportare il mondo al 1580 abolendo «la luce elettrica... il granoturco... gli Stati Uniti... i pappagalli... i piroscafi... Milton e Dickens... i taccuini... l'artiglieria leggera» ecc. ecc. e, per contro, ripristinando «la forca per i ladri... i dieci anni di servizio militare obbligatorio... la logica scolastica... la peste e il vaiolo... il divieto alle donne di calcare le scene... l'ordalia nei tribunali... il rogo per le streghe...» ecc. ecc. Charles Wentworth Littlefield, con l'aiuto di alcune parole della Bibbia, «riesce a far cristallizzare il sale da cucina in forma di pollo o di altri animali piccoli». Philip Baumberg inventa «la pompa a cani», il cui funzionamento tuttavia richiede l'intervento di un tal numero di uomini che impresa meno costosa è approntare un esercito per la guerra. Félicen Raegge, sollecitato da una frase di Helvetius che afferma che «gli antichi siamo noi», elabora la teoria dell'inversione del tempo, secondo la quale «il tempo della terra, ossia il tempo della razza umana, scorre all'inverso di come vuol far credere la lingua popolare. Cioè dal presente al passato, dal futuro al presente». Ma ben trentasei sono i ritratti che Wilcock ci propone ciascuno ricco di un humour straordinario. Si tratta di un humour leggero e lunare che penetra senza rumore negli interstizi delle cose e ne sorprende l'occultata vacuità. Wilcock mi ha sempre fatto pensare a quei funamboli, un po' tristi e solitari - la cui presenza non è infrequente nell'immaginario americano - che nelle ore dell'alba con un passo felpato passano da un tetto all'altro della città, irridendo alla rumorosa metropoli che dorme. A una metropoli che prolifera oltre i suoi spazi, invadendo l'infinito della demenza, dove Wilcock, maliziosamente accostato, allegramente l'aspetta. Angelo Guglielmi J.Rodolfo Wilcock La sinagoga degli iconoclasti Adelphi pp. 216. L. 18.000

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