Remo Girone n° 5 afferra il pubblico con i tentacoli del suo fascino perverso

Remo Girone n 5 afferra il pubblico con i tentacoli del suo fascino perverso Remo Girone n 5 afferra il pubblico con i tentacoli del suo fascino perverso Dice: «L'ondata di popolarità mi permette di non fare le code. Mi hanno perfino intitolato un club femminile» Stufo? Per carità, mai. Saturo? Ma neanche per sogno, sarebbe disposto a ricominciare domani. A Remo Girone, insomma, La Piovra, piace: non ostenta le pose annoiate o i distacchi blasés dei suoi predecessori, non teme d'inflazionare l'immagine o di stancare il pubblico, anzi. Questa improvvisa ondata di popolarità che lo ha travolto, lo galvanizza, quasi fosse un bambino. Racconta che non deve far più la coda, negli uffici postali, che viene riconosciuto dai taxisti, che hanno persino intitolato un club femminile al suo fscino perverso e che, per strada, lo indicano come «l'uomo più odiato d'Italia». Elettrizzante davvero, essere odiato da 14 milioni di persone. Ma a parte l'inevitabile popolarità, che cosa ha significato, per lei, La Piovra? «Anzitutto, un lavoro ese¬ guito con estrema professionalità: che ha dimostrato come anche la televisione possa essere fatta molto bene. E che, quando è fatta molto bene, non esistono confini: ci conoscono in Russia, ci conoscono persino a Saigon. Per me poi è stato uno straordinario trampolino di lancio: mi ha riproposto all'attenzione degli addetti ai lavori, dandomi il modo di mostrare le mie capacità professionali. E mi ha aperto le porte del cinema». Immagino dunque le dispiaccia che tutto finisca qui, in questa quinta serie. «Se fosse vero, mi dispiacerebbe moltissimo; ma non lo credo. Ho sentito indiscrezioni, serpeggiare qua e là. Morirò, non morirò?, questo è il dilemma. D'altronde, ci sono soap-operas americane che superano le 200 puntate a furor di popolo. Della Piovra si sono viste in tutto 23 puntate, com¬ sibilizza cose che sono nell'aria: mette a fuoco determinati atteggiamenti, risveglia coscienze assopite. Sarà un caso, ma dopo una puntata de La Piovra è scoppiato lo scandalo delle scorie radioattive, poi quello sul riciclaggio del denaro sporco». Non preferirebbe essere dalla parte dei buoni? «Dalla parte dei buoni o dei cattivi mi è indifferente, purché io ci sia. Perché un programma come questo contribuisce all'importanza dell'attore e della sua immagine, qualunque ruolo egli svolga». Mi diceva che questa sua amatissima Piovra le ha aperto le porte del cinema... «Avevo già fatto qualcosa, in cinema, anche prima. Poi, mi sono dedicato esclusivamente al teatro perché mi sembrava che la carriera cinematografica fosse precaria, una carriera a rischio. Diciamo che La Pio¬ prese quelle che ora stanno andando in onda: non vedo come si possa parlar di stanchezza». Oddio, solo 23 puntate: sembrava durasse da una vita. E perché, secondo lei, avvince tanto il pubblico? «Perché la mafia, oggi, c come il gangsterismo ieri. Perché mette a fuoco una sconvolgente realtà sociale, che è la nostra. Perché è imperniata su un grande impegno civile: difende le istituzioni, per esempio non presenta mai giudici corrotti o poliziotti cretini. Qualcuno l'ha accusata di esportare la faccia sporca dell'Italia e sarà anche vero, ma questa piaga esiste. D'altronde a suo tempo il neorealismo venne accusato di esportarne la faccia povera: il che non ha mai nuociuto al suo altissimo livello artistico». Lei pensa che abbia aiutato in qualche modo la gente a capire? «Secondo me, sì. Perché sen- Remo Girone vra è arrivata al momento giusto, cioè quando, dopo anni di teatro, ero maturo professionalmente. Il primo film è stato Diceria dell'untore di Beppe Cino, tratto da un romanzo di Bufalino: vi interpreto un tubercolotico, destinato a morte certa, che vuol disperatamente lasciare una traccia di sé, nella vita. Il film sta uscendo in questi giorni, lo abbiamo presentato ieri, a Catania. Dopodiché, ho impersonato il Duca di Vallombrosa nel Capitan Fracassa, di Scola». Il teatro, non le manca? «No, non mi manca: ne ho già fatto tanto, di teatro. E poi, quando capita, vi compio una rapida incursione: quest'estate abbiamo ripreso Elettra o la caduta delle maschere, della Yourcenar, al Festival di Gibellina. Ma non voglio più impegnarmi in tournées, il teatro ha tempi troppo lunghi, io devo mantenermi libero, per il ci¬ nema. Il quale magari arriva all'improvviso, perché un film, spesso, ha tempi brevissimi. Ora sto esaminando parecchie proposte: certo, il cinema rimane un mestiere molto difficile e precario. Ma io oggi lo affronto con maggior sicurezza, perché so di poter interpretare qualsiasi ruolo. Insomma, ho fiducia». C'è qualcosa di particolare che amerebbe fare? «Recitare insieme a mia moglie, Victoria Zinny, attrice anche lei. Vede, io credo che il nostro rapporto sia durato tanto a lungo e in tale armonia, proprio perché facciamo lo stesso mestiere, parliamo la stessa lingua. Poiché il nostro è un mestiere che va fatto unicamente da persone che lo amino. Ed essere uniti dalla stessa passione è importante anche per la vita, mi creda». • Donata Gianeri