Siamo tutti «equalizers» di Stefania Miretti

Quando la televisione si colora di nero... Viaggio negli ultimi programmi verità: la cronaca e la fiction puntano sempre di più sulle tinte forti Quando la televisione si colora di nero... (Contro il Mostro è sufficiente telefonare al Giustiziere) A caccia di soggetti deboli Perché dramma e lacrime fanno vincere l'audience Lei sbatte le ciglia come Minnie, lui s'illumina, colto di sorpresa da intuizioni astute, come Topolino. Donatella Raffai e Luigi Di Majo, conduttori di «Chi l'ha visto?», non si limitano ad andare «sulle tracce delle persone scomparse», che non sarebbe questo il compito della televisione, ma inseguono pervicacemente il risvolto, per così dire, «umano» della vicenda. E sono buoni, domenicali, umanissimi. Possono, per esempio, dire a una donna del Sud che ha partorito otto figli nelle pause di un'esistenza molto grama: «Ma lo sa, signora, che dimostra meno dei suoi anni?». L'allarmante novità è che quest'anno Raffai e Di Majo non si occuperanno più di quanti esercitano il sacrosanto diritto di andarsene di casa, ma dei «soggetti deboli», cioè i bambini e gli anziani. E siccome un bambino raramente sparisce di sua volontà, ecco che la trasmissione diventa gialla, anzi nera. Risvolti umani anche per «Ultimi particolari in cronaca», il programma di Enrico Mentana che l'altra sera ha esordito con il ghiotto caso dell'omicidio di Simonetta Cesaroni; e con l'intenzione di ricordare come dietro a un delitto ci sia, quasi sempre, di fattore umano», e cioè «personaggi che la cronaca schiaccia». E allora ecco che umanamente i riflettori s'accendono sulla madre pieg*ata su se stessa, in lacrime, su amici e parenti in lutto, per ricordare questa ragazza uccisa d'estate, al tavolo di lavoro, «mentre tutti ce ne stavamo in vacanza». Che i telespettatori sappiano, che vedano con i loro occhi. E' dunque la televisione cinica e guardona a trionfare anche quest'anno, dopo il buon successo della passata stagione. Ma con una novità: la cosiddetta «linea gialla» vira decisamente al nero, e la guerra dell'audience rischia di essere combattuta, d'ora in poi, a colpi di autopsie, referti necroscopici, analisi del Dna, dettagli raccapriccianti (se proprio dobbiamo giocare al «piccolo investigatore», a casa, tanto vale che ci forniscano tutti gli elementi necessari), ma, si capisce, di grande interesse sociale. Quanto alla buona e vecchia «suspense», che assicurava il successo di un film, di uno sceneggiato poliziesco, è garantita oggi dalla «fiction», pratica modernamente incivile che fa muovere dei sosia, o preferibilmente i protagonisti reali della vicenda (siano essi bambini, persone umili e in stato di completa soggezione, o, più raramente, consenzienti esibizionisti) allo scopo di ricostruire il clima, ahimè sociale, in cui il fatto è avvenuto. La colonna sonora, le scenografie sono tutte in chiave horror, spaventose le situazioni: per esempio bambine molto piccole perdute nel bosco, che inciampano, cadono e si rialzano. Se poi i protagonisti sono, e quasi sempre lo sono, poveri di mezzi e di spirito, tanto meglio: 10 sviluppo sociale è assicurato, 11 valore rassicurante della trasmissione anche. «E' grave che questo avvenga nei programmi della Rai, che tra le sue funzioni dovrebbe avere quella di elevare il gusto del pubblico, non certo di deprimerlo», commenta il teologo don Baget Bozzo. «Il dramma, si sa, è fascinoso», aggiunge Baget Bozzo, «e l'intenzione è quella di produrre forti emozioni, come si è sempre fatto nel cinema e nel teatro. Ma qui c'è qualcosa in più: si tratta di un cattivo gioco, che tra l'altro sottintende un cattivo messaggio: il "fai da te"». Ma davvero queste trasmissioni, morbose sì ma tutte intrise di sdegno ed esecrazione, di inviti perentori a collaborare {«Chi sa, parli!»), di pietose commiserazioni, possono avere un'influenza negativa su quei telespettatori che tanto sembrano apprezzarle? Sì, secondo il parere del sociologo Sabino Acquaviva: «Tendiamo a imitare i comportamenti imposti dalla televisione, e anche se il contesto verbale suggerisce disapprovazione, è l'immagine quella che conta. L'immagine è più forte delle parole. E' poi rischioso proporre un'Italia di folli, assassini e gente che fugge, come immagine forte, rappresentativa di tutta la società». Tanto più rischioso perché, oltre alle trasmissioni di attualità e approfondimento, anche i telefilm segnano una recrudenscenza della violenza. Ma perché proprio adesso questa virata al nero, e perché sembra piacere tanto? «Perché l'interesse morboso esiste da sempre, ma la rilevazione dei dati d'ascolto è una tecnica più recente», commenta Acquaviva. «Ora sappiamo con certezza che l'uso dei drammi della gente, a fini televisivi, fa audience». Stefania Miretti SAdPdvscptnb

Persone citate: Acquaviva, Baget Bozzo, Di Majo, Donatella Raffai, Enrico Mentana, Luigi Di Majo, Sabino Acquaviva, Simonetta Cesaroni

Luoghi citati: Italia