Quando la storia è tutta da riscrivere

Quando la storia è tutta da riscrivere La cultura in Romania dopo Ceausescu Quando la storia è tutta da riscrivere m-j BUCAREST |m ELLE università romene jm sono ormai rimaste po1 che tracce della cultura ± 11 comunista: soppressi gli istituti di marxismo-leninismo, epurati gli ideologi del partito, allontanati i docenti compromessi col regime, persino cambiate le intitolazioni delle aule magne. Un colpo di spugna su mezzo secolo di storia, sui «sacri testi» di Lenin e sulle follie di Ceausescu. «La parte più drammatica è stata fatta - dice Vassile Vesa, direttore dell'Istituto di Storia contemporanea di Cluj, in Transilvania - ma adesso resta da fare quella più onerosa, e cioè ricostruire la nostra "cultura"». Come in Urss e negli altri Paesi dell'Est europeo, è agli storici che tocca il compito più urgente: rileggere il passato per riscoprire l'identità nazionale del popolo romeno. Il governo ha fatto il primo passo, abolendo la festa nazionale del 23 agosto (che ricordava l'insurrezione del 1944 contro il regime filonazista di Antonescu) e stabilendola al 1° dicembre, in ricordo dell'annessione al regno di Romania delle province storiche di Transilvania, Bessarabia e Bucovina (avvenuta nel 1918, dopo la conclusione della I guerra mondiale). «La decisione governativa segna un punto di partenza anche per la storiografia - spiega Joan Pop, giovane ricercatore specialista dell'età medievale -. Ripartire dal 1918 introduce un nuovo concetto di storia contemporanea, che ci ricollega alle vicende dell'Europa centro-occidentale: sino ad ora avevamo invece un'interpretazione che privilegiava la data del 23 agosto 1944 come premessa dell'instaurazione del comunismo e che ci sradicava dall'Europa per proiettarci in una prospettiva nazionalcomunista». «Tutta la nostra cultura è stata isolata dal resto del continente - aggiunge Teodor Pompiliu, aneli'egli docente a Cluj - Ceausescu ha esasperato il nazionalismo romeno, precludendo la dimensione internazionale e riducendo la storiografia ad una celebrazione del partito comunista e del movimento operaio». Sulla ricerca storica, il vecchio regime vigilava da vicino: Ilie Ceausescu, generale dell'esercito e fratello del dittatore, aveva la direzione dell'Ufficio Storico dell'Esercito e, di conseguenza, competenza sull'accessibilità agli archivi; inoltre, egli era membro della sezione cultura del Comitato Centrale del Per, con la responsabilità del controllo ideologico sulle opere storiche. «Prima di pubblicare un'opera storica, un editore chiedeva il parere del Comitato di cultura - spiega Vassile Vesa - e se il comitato aveva qualche dubbio, si rivolgeva direttamente alla cricca di Ilie Ceausescu»; «in pratica - aggiunge Joan Pop - la storiografia era diretta da quattro persone, Ilie Ceausescu, Musat, Ardeleanli e Patroiu». E ora? «Ora c'è libertà di studiare e scrivere, ovviamente, ma ci sono anche i danni di questi trent'anni: non sappiamo quasi nulla di ciò che è stato pubblicato in Europa Occidentale». Un esempio significativo: ad un ricercatore milanese, che ha donato all'Università della Transilvania oltre mille volumi recenti di storia contemporanea italiana, è stata concessa la cittadinanza onoraria di Cluj! Di fronte alle difficoltà, gli storici romeni non sembrano perdersi d'animo: in pochi mesi, sono stati aperti cantieri di ricerca nei settori più diversi. «La storia antica sta affrontando i temi del rapporto fra romanità occidentale e orientale spiega Teodor Pompiliu -; quella medievale ha intrapreso studi comparati sul feudalesimo; i modernisti esaminano i riflessi del 1789 e il risveglio delle nazionalità. Qui a Cluj, in particolare, abbiamo avviato uno studio comparato sulla Lombardia e la Transilvania nel XVIII secolo (quando entrambe erano province asburgiche, ndr), e al progetto lavorano studiosi nostri insieme a colleghi di Milano». E per la storia contemporanea? «Qui le cose sono più ardue perché non bisogna cedere alla tentazione della rimozione pura e semplice. Stiamo studiando l'epoca di Antonescu, i percon i della modernizzazione della società romena, le strutture socioeconomiche del nostro Paese. Ma sono ricerche che muovono i primi passi: al momento, per noi sono prioritari i contatti con la cultura europea. Per questo qui a Cluj diamo molta importanza alla creazione di un istituto di relazioni internazionali, realizzato con l'aiuto dell'università di Milano. E' il rappoto con le vostre realtà culturali che può permettere alla storiografia romena di superare i suoi ritardi». Gianni Oliva