Vecchio pci falce e nostalgia

Vecchio pci, falce e nostalgia I film, le bandiere, i libri, le musiche, i volti di un'epoca che chiude Vecchio pci, falce e nostalgia Nel museo di Cicchetto cimeli a buon mercato ■■tiON resta che la memoK ria. E la memoria è in 1 vendita in edicola a 29 1 mila lire, offerta speciali! I le, videocassetta e manifesto. Con modica spesa si può comprare una fetta del vecchio pei e riempire di nostalgia e simboli l'immaginazione: i fazzoletti rossi al collo, l'asta di metallo delle bandiere alla cui sommità erano avvitati falce e martello, i palchi dei comizi bardati di rosso al centro della piazza, le bocche degli altoparlanti sul tetto dell'auto, l'Inno dei lavoratori e l'Internazionale prima del discorso. Sono in vendita, per la prima volta in edicola e da qualche giorno, le videocassette di don Camillo, i film della serie con Fernandel e Gino Cervi: la politica fatta di grandi passioni e furori, certezze granitiche, ideologie che accendono l'anima. Pagine di un'Italia che non c'è più. Ma anche racconti di sentimenti, speranze, attese, testimonianze di quel magma vitale dell'anima comunista che per quarantanni ha accompagnato la storia del Paese, e che ora è là, ridimensionata e malconcia, nel vecchio simbolo con falce e martello, stella e bandiera, che Achille Occhetto ha relegato sotto la quercia. Un'anima rimasta nelle fotografie e nei ricordi. Nelle storie di don Camillo, in quel «piccolo mondo di un mondo piccolo piantato in qualche parte dell'Italia del Nord fra il Po e l'Appennino», come dice la voce fuori campo del primo film della serie girato da Julien Duvivier, non ci sono soltanto le avventure del sindaco comunista in lotta perenne con il parroco. Ci sono immagini, volti, parole: «Lei, reverendo, il solito complice dei capitalisti reazionari», «Io non ho paura, caro il mio signor sindaco, della vostra rivoluzione proletaria». Ci sono figure (gli strilloni dell'Unità in camicia rossa, le squadre di calcio che si chiamano Dinamo e i circoli del partito intitolati a Spartaco), oggetti (i distintivi con la figura di Lenin), definizioni (i comunisti sono «i rossi»), musiche (Avanti o popolo alla riscossa). Tanti reperti per il museo di Occhetto. Ma quanto sarà grande questo museo? E quanti cimeli, quadri, abiti, filmati, volumi e dischi dovranno contenere guardaroba e scaffali? Dagli Anni Cinquanta agli Anni Novanta, nel gran contenitore della memoria comunista, il visitatore avrà modo di conoscere il partito nelle immagini che dava di se stesso, nei titoli che pubblicava, nella politica culturale che sosteneva per vincere quella «guerra di posizione fatta di trincee e casematte» che Gramsci aveva così ben teorizzato nei Quaderni del carcere. Il visitatore entrerà nel mu- seo e farà il confronto fra il pei di allora e il partito di oggi. E vedrà che quando i comizi riempivano le piazze di bandiere rosse e l'Unione Sovietica era ancora il paese della Rivoluzione, l'Unità pubblicava i corsivi di Fortebraccio e le vignette di Gal, ridicolizzando gli avversari. Conoscerà Cipputi, che nel '76, il suo anno di nascita, era forte e gagliardo: «Non dimentichiamoci che l'economia di mercato ha le sue regole», gli dice il compagno. «Mi hai schiarito le idee, Gavazzi: appena vado in cassa integrazione me le ripasso», ribatte Cipputi. Sono gli anni in cui il pei naviga sotto la guida di Berlinguer, Giorgio Napolitano difende Lenin nei dibattiti televisivi e il militante di base legge II calendario del popolo. Il colore resta il rosso, il pei è un «partito diverso» e Fortebraccio sull'Unità ironizza sul nome di Craxi: «Bettino il socialistino». Poi, a metà degli Anni Ottanta, comincia a succedere qualcosa. E le vignette di Altan sono lì a dimostrarlo. «Dice che si dovrebbe tagliarci le radici», sussurra l'amico di Cipputi. «Cambiare nome, farci crescere i baffetti e rifarci una vita, magari nel psdi», ribatte quest'ultimo. «Caro Cipputi è un gran fiorire di ex compagni pentiti». E lui: «Chilometri di coda sulla via di Damasco». «Cambiatevi il nome, Cipputi!», gli dice il suo datore di lavoro: «Così voi ci tirate una riga sopra a quarantanni di contributi maturati», ribatte Cipputi. Ora la riga è stata tirata e l'anima del passato vive nelle cornici del museo. Il cantautore comunista Paolo Pietrangeli, a metà degli Anni Settanta, raccontava il dramma esistenziale del militante, e finiva con: «Sono uscito dalla fossa a cantar bandiera rossa». Ma a metà degli Anni Ottanta cambiava motivo e musica: «Filologicamente, sono molti gli arcani / Eravamo marxisti, ci sentiamo marziani». E i libri? Dove sono finiti quei volumetti di Lenin stampati dagli Editori Riuniti nella collana «Le idee» e andati a ruba negli Anni Settanta? E le opere complete di Togliatti, le raccolte di Rinascita, quel bellissimo libro di Luciano Gruppi, Il concetto di egemonia in Gramsci, ormai introvabile e lettura obbligata per capire il pei e la sua strategia delle idee? Che ne sarà di quel piccolo volume, Il rapporto uomo donna nella società borghese, scritto da Umberto Cerroni, pubblicato nella prima metà degli Anni Settanta e oggetto di accese discussioni fra i militanti? E di Materialismo e empiriocriticismo di Lenin? E dove finiranno tutti quegli opuscoli sulla concezione materialistica della storia, il partito nuovo, la strategia delle alleanze, le riforme di struttura, studiati e sottolineati da generazioni di militanti? Oggetti da museo, come le storie di Peppone e don Camillo. Oggi il partito della quercia viene lanciato sul mercato come qualunque oggetto di consumo e Occhetto scrive a 400 Vip dell'industria, del giornalismo, dello spettacolo e della finanza per avere suggerimenti e idee. Ieri c'era Peppone, oggi ci sono i manager. Ieri il pensiero era forte e la stretta di mano sanguigna. Oggi tutto è più complesso e Craxi è in agguato. «Lasciateci almeno la nostalgia», dirà qualcuno. E la nostalgia è lì, nella videocassetta a 29 mila lire, nella «storia che racconta il grande fiume». Qui, in questa terra «grassa e piatta dove d'estate il sole picchia sui cervelli martellate furibonde, tutto si esaspera e le passioni politiche esplodono violente». Ecco la banda musicale, il corteo, i «rossi». Da qualche giorno i comunisti hanno vinto le elezioni. Don Camillo è sulla soglia della chiesa, vede Peppone e i suoi che sfilano. Sbarra la porta e corre davanti al crocifisso. «Gesù, guardateli: fra poco verranno qui e ci pesteranno sotto i piedi». E il Signore: «Don Camillo, una pestatina ti starebbe bene, così impari a non fare politica in casa mia». Mauro Anselmo I I " sìnc'aco comunista Peppone (Gino Cervi) e don Camillo (Fernandel)

Luoghi citati: Italia, Unione Sovietica