Conte di Masino sei accusato di magia e tradimento di Armando Caruso

Conte di Musino sei accusato di magia e tradimento Conte di Musino sei accusato di magia e tradimento La tragica rievocazione realizzata dalla compagnia «I teatranti» di Torino MASINO DAL NOSTRO INVIATO «Jacopo Valperga, Conte di Masino, siete accusato di tradimento verso il Duca di Savoia da suo figlio Filippo Senzaterra...». L'accusa rivolta al gentiluomo, dottore in legge, uomo e marito probo, dal più alto magistrato della contea non è soltanto politica. Egli è accusato di altre infamie: l'assassinio di bambini e di praticare la magia. Jacopo Valperga, un uomo alla sbarra, si difende con veemenza, poi cede alla vigliaccheria di chi lo giudica e si arrende, nell'impossibilità di dimostrare che mai congiurò contro i Savoia, che mai praticò la magìa, che mai fece uccidere innocenti. Comincia così il processo a Jacopo, dei conti di Valperga e di Masino (il bravo Enzo Brasolin), nella splendida sala degli stemmi del castello che domina il Canavesano. A riproporre quella sentenza di morte per annegamento emessa dal tribunale di Morge sulle rive del Lago di Ginevra nel 1462, è stata la compagnia de «I teatranti» di Torino, cui la regista Elda Caliari ha trasmesso il senso della sua profonda cultura e sensibilità, su testo di Laura Novarese di Moransengo Libra, liberamente tratto dalle fonti storiche di Cibrario, Menabrea, Daviso di Charvensod. Un testo scarno, incisivo, elegante nel linguaggio, che non cede alle piaggerie dell'epoca, rappresentato nell'azione scenica con magnifici costumi della Sartoria artistica teatrale, da una compagnia che s'è calata nel difficile momento storico per restituire al dramma autentiche emozioni. Ecco il punto: un castello, forse, meglio che un teatro può rendere vera la rappresentazione di un testo come quello di Jacopo di Masino. Saremmo tentati di affermare che nella sala degli stemmi non v'era alcuna finzione teatrale; e se per un momento avessimo potuto astrarci dall'elegante pubblico che la gremiva, saremmo stati indotti a pensare ad un sogno, a un improbabile tuffo nel XV secolo. Il dibattimento è serrato: cattive, ambigue le accuse dell'arrogante procuratore generale Romualdo di Bussigny; piene di indignazione quelle del Conte di Gruyère e del Conte di Varambon, fautri di Filippo, ma dirette all'accusa di tradimento e non alle infamie cui non riescono a sottrarre Jacopo di Masino. Giulio Liberati e Dino Busso rendono con accenti, teatralmente sobri, la parte della pubblica accusa, la parte migliore di un collegio giudicante che tende ad affossare il nobile imputato. Enza Fantini, Violante Grimaldi di Boglio, moglie di Jacopo, carica di tensione il momento culminante del processo con un'appassionata difesa del consorte. Il dibattimento, sorretto dalla salda recitazione di Ugo de Los Rios, si conclude con la condanna a morte di Jacopo «immediatamente eseguita», recitano i documenti dell'epoca, e con la sofferta confessione (a se stesso) di Filippo Senzaterra, figlio di Ludovico di Savoia, resa credibile da Paolo Ricagno. Ed è l'ammissione di umana impotenza del Senzaterra a dare una chiave di lettura psicologica all'intero dramma che condannò l'onesto Jacopo: la vera vittima non è infatti il Conte di Masino, «glorificato» dalla stessa ingiustizia, ma il giovane Filippo, un principe senza ideali, cui la madre negò, nell'infanzia, il calore di autentici affetti, angosciato da quel complesso edipico da cui non riuscì mai a guarire e che egli svela, quasi a voler giustificare le inique accuse contro Jacopo. Il Castello di Masino è stata degna cornice di questa storica rappresentazione: un maniero acquisito dal Fai (Fondo per l'Ambiente Italiano) in gran parte restaurato, reso prezioso dagli arredi, da una importante pinacoteca, dalla biblioteca di testi antichi arricchita dall'abate Caluso; dalla magnifica cappelletta attigua alla sala degli stemmi che accoglie la tomba di Arduino. Un'acquisizione resa possibile dagli interventi della Cassa di Risparmio, della Fiat e del Maglificio Calzificio Torinese. Restauri imponenti (si pensi all'immenso, suggestivo magnifico parco) curati con competenza e amore dall'architetto Umberto Novarese di Morasengo, che ha aperto al pubblico il castello, favorendo così la conoscenza di uno dei più bei monumenti piemontesi e mille anni della nostra storia. Armando Caruso

Luoghi citati: Caluso, Charvensod, Ginevra, Moransengo, Torino, Valperga