Anna: «Amo davvero soltanto il teatro»

Incontro con la Proclemer, che quest'anno tornerà a recitare al fianco di Giorgio Albertazzi Incontro con la Proclemer, che quest'anno tornerà a recitare al fianco di Giorgio Albertazzi Anna: «Amo davvero soltanto il teatro» «Ma so poi convivere faticosamente col mio caratteraccio» Bella, è sempre bella. Sia pure in modo diverso, come una signora che non è più ossessionata dalla propria immagine, non ha più il culto del proprio aspetto: gli anni togliendole magia, le hanno dato una grazia materna, più tranquilla, domestica. «Io credo che invecchiare sia molto riposante: non doversi più preoccupare del proprio fisico, di essere seducente ad ogni costo elimina le tensioni, le ansie». Eppure, come tutte le donne che sono state molto amate, Anna Proclemer, lascia trasparire una certa inquietudine, una certa fragilità sotto l'aspetto apparentemente appagato: «(Appagati, non si è mai. Io, poi, sono una tormentarissima, mi pongo sempre una quantità di problemi. Riesce a placarmi soltanto il teatro». In teatro tornerà fra breve, con la ripresa di Giorni felici di Beckett al Carcano, di Milano. «Una commedia un po' fuori dalle mie corde che si capisce a fondo solo recitandola: va vivisezionata come un cadavere, è faticosissima. Eppure, quando me ne sto lì, sola, sul palcosceni¬ co, con la mia capoccetta che emerge appena dal buco, tutto mi diventa più chiaro tutto mi sembra più comprensibile». Dopodiché, a metà stagione, il grande ritorno della coppia Proclemer-Albertazzi ne II caro bugiardo. Un ritorno molto romantico e molto commerciale, patrocinato naturalmente da Ardenzi. «Io spero proprio che sia molto commerciale: l'ultima cosa che facemmo in coppia fu l'Antonio e Cleopatra, nel '77. Per cui le ultime generazioni non ci hanno mai visto recitare insieme, anche se abbiamo continuato a fare alcune cose come il Peer Gynt o le letture dantesche. Eppure, per circa vent'anni, abbiamo rappresentato una cifra molto importante per le scene italiane. Riproporre un certo modo di far teatro, sia pure in una commedia leggera e già cavallo di battaglia di Morelli-Stoppa, mi sembra un'operazione intelligente, oltreché commerciale». Anche se nel frattempo la recitazione di Albertazzi è volutamente cambiata: per cui il vostro modo di far teatro sarà, comun¬ Una veduta aerea del Castello di Masino que, diverso. «Non lo so, vedremo: in Memorie di Adriano, per esempio, Giorgio era molto composto, ancora diverso da come è apparso in questi ultimi anni. Gli attori sono come i camaleonti, prendono il colore di quello che fanno». Albertazzi non è certo un partner facile: dividere scene e vita privata con un altro mattatore dev'essere stato, per lei, durissimo. Una vera lotta di titani. «Io credo che le persone importanti siano sempre difficili. Anch'io certo ho un carattere difficile, anche se meno fiammeggiante del suo, più sotterraneo. Sulla scena lui metteva il suo estro fiorentino, io il mio rigore mitteleuropeo, lui la sua fantasia, io il mio senso un po' pedissequo della professionalità. E i risultati erano davvero esaltanti. Nella vita, invece, ero sempre io che, alla fine, mi adattavo alle sue esigenze: tocca alla donna abbozzare, è una questione atavica, ormai. Di sicuro so che non vorrei più vivere con lui, né avere un rapporto come quello che ho avuto con lui. Invece, il Nel castello che domin pensiero di tornare a recitare con Giorgio, mi galvanizza». Che cosa pensa, del nostro teatro, alla luce delle immancabili diatribe da apertura di stagione? «Non lo so. So che Gassman, dopo aver tanto dissertato sulla mancanza di zolfo, mette in scena una cosina piccola piccola, neppure un po' goliardica come ci si aspettava, neppure un po' istrionica. Una cosa squallidina, in cui non c'è niente di niente: certo, non zolfo. Quando l'ho vista, l'altra sera, ci sono rimasta male. E lo dico con molto amore perché io, Gassman, l'ho sempre amato moltissimo, suscitando persino la gelosia artistica di Albertazzi. Quanto a me, cosa vuole che pensi? Viviamo in un'epoca così confusa, non so cosa pensare dell'Iraq, non so cosa pensare della Germania unita e neppure di questa nostra Italia, così allo sbando. Si figuri se so cosa pensare del teatro. Mi limito a perseguire edonisticamente le cose che amo ed evito di far teoria». A che punto è con se stessa, come donna? a il Canavesano suggest «Nulla è cambiato: continuo a vivere faticosamente con me stessa, cercando di accettarmi un po' di più, pur col caratteraccio che mi ritrovo. Un carattere scomodo, pesante da portarsi per tanti anni appresso: il mio avvilimento inizia sin dal mattino, quando mi alzo e sono un essere disperato che pensa al suicidio, perché mi sveglio con 100 di pressione, non sono niente e sto malissimo. Una situazione irreversibile se neanche l'esperienza è riuscita a cambiarmi. Oggi continuo a commettere con implacabile monotonia gli errori che facevo all'età di nove anni. Il che, mi deprime ancora di più». Proviamo a cambiar domanda: a che punto è con sé stessa, come attrice? «Credo di amare il teatro come il primo giorno. E' la cosa eterna, fondamentale, il rapporto vero, che non si esaurisce mai e del quale non potrei mai fare a meno. Sono un'attrice, non c'è niente da fare. E non saprei che cos'altro fare, se non l'attrice». Donata Gianerì iva rappresentazione sto

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