Kant come Erode: se il bimbo nasce dall'adulterio può anche morire di Liliana Madeo

Con il filosofo, una serie di esempi impressionanti dimostrano che maltrattamenti e intolleranza non sono una prerogativa della nostra epoca Con il filosofo, una serie di esempi impressionanti dimostrano che maltrattamenti e intolleranza non sono una prerogativa della nostra epoca Kant come Erode: se il bimbo nasce dairadulterio può anche morire Le radici storiche e culturali dell'emergenza infanzia, dalla Strage degli Innocenti ai baby-killer Nel Seicento gli educatori definivano la prima età «un periodo imperfetto». E nelle scuole inglesi per molti anni si è usata la frusta SROMA ULLA scena della malavita napoletana irrompe la figura terribile e in quietante del baby-killer. Quasi contemporaneamente (il 29 e 30 settembre) nel Palazzo delle Nazioni Unite a New York si riuniscono 59 capi di Stato e i rappresentanti dei loro governi per trovare rimedi comuni a quell'«emergenza infanzia» che ormai non è più una piaga del Terzo Mondo ma un'ombra oscura e informe venuta ad annidarsi in ogni società. Con queste due immagini una che viene dal ventre malato del nostro Meridione, una che ci introduce fra le pieghe della realtà intercontinentale - si definisce una stagione che ha visto i bambini promossi di colpo al rango di protagonisti in storie di guerra e di conflitti internazionali. Vittime di vendette e torture. Strumenti per piegare la resistenza e la volontà dei genitori. Destinatari di messaggi inviati da prepotenti aspiranti al potere. Ma anche, sempre più spesso - uscendo dalle pagine della Storia, dai rapporti di Amnesty International, come dalle denunce impotenti dei governi -, l'anello più debole su cui si scaricano tensioni sociali e drammi familiari, perversioni sessuali e rabbie, aggressività. Il baby-killer napoletano di questo inizio d'autunno è la punta di un iceberg, la spia clamorosa di una società violenta e crudele. Ma gli storici avvertono: un tempo - quando bambini e ragazzi non erano protagonisti - non per questo le violenze che subivano erano minori. Per secoli nel mondo ha regnato Erode. Un potere oggi inconcepibile veniva esercitato dai genitori sui figli. Il figlio ed crede di Enrico IV di Francia, il futuro Luigi XIII, cominciò a essere frustato all'età di due anni. E così proseguì la sua «educazione». A nove anni diventò re, ma continuò a essere frustato, immobilizzato da un manipolo di guardie. Le frustate cessarono quando compì tredici anni e fu sul punto di sposarsi. Questo nella Francia del '600, nella vita di un piccolo principe erede al trono. Piero Melograni dice: «La storia ci insegna che in passato la violenza contro l'infanzia è stata assai più diffusa di oggi e che mai come nella nostra epoca i bambini sono stati amati, protetti e vezzeggiati». Alfredo Carlo Moro, sommo magistrato dei minori, sostiene: «La storia dell'infanzia è una continua storia di gravi abusi nei confronti dei bambini mai considerati come persone, ritenuti sempre cose di proprietà dei ge¬ nitori, pensati come materiale informe da plasmare con ogni mezzo in funzione di un modello precostituito dall'adulto». Per tanto tempo s'è pensato che i bambini fossero animaletti, creature ancora imperfette, non esseri umani completi. E I esseri impuri, concepiti nel peccato e bollati dal peccato originale. In un trattato sull'educazione del Seicento si afferma che «solo il tempo può guarire dall'infanzia e dall'adolescenza che sono in tutto età imperfette». In quello stesso tempo al cardinale de Berulle la condizione dell'infanzia sembrava «la più vile ed abietta», e Bousset gli faceva eco affer mando che «l'infanzia è la vita di una bestia». Trattandoli come bestie, effettivamente si provvedeva all'educazione dei minori e al loro uso nel mondo del lavoro. Calvino aveva insegnato che «solo spezzando totalmente la volontà del bambino, questo può essere salvato dallo spirito innato del male insito in lui». Non a caso per secoli le punizioni coqjorali sono state lo strumento pedagogico d'elezione. Nelle scuole inglesi era stato istituito uno specialista per questo tipo di interventi educativi, «il flagellante». E nel 1874 - nell'America che già aveva fatto le sue rivoluzioni per il dirit- to dell'uomo alla felicità e alla libertà - a New York alcuni volenterosi dovettero ricorrere alla Società per la protezione degli animali per salvare la piccola Mary Ellen dai maltrattamenti dei genitori adottivi. Non solo il bambino non aveva diritti, ma anzi era considerato spesso un parassita, un peso economico insostenibile. Le leggi che vietano l'uso della manodopera infantile sono recenti. In Italia ancora a fine '800 i bambini di alcune zone del Veneto e del Sud venivano «venduti» per i lavori di campagna o per andare a fare i lavori più malsani all'estero. Nel 1886 il nostro Parlamento stabilì che in miniera al di sotto dei nove anni non si poteva lavorare, che dopo i nove anni non vi si doveva lavorare più di otto ore, mentre dopo i dodici anni non c'era più differenza rispetto agli adulti. Da secoli nelle campagne d'Europa i bambini erano avviati al lavoro appena raggiunti i sei-sette anni. In alcune zone rurali dell'Inghilterra del XVIII secolo molte bambine di cinque-sei anni lavoravano come schiave a fare merletti o oggetti di paglia: «Per essere sicuri che lavorassero sodo - ci informa lo storico Lawrence Stone - si imponeva loro di tenere scoperti il collo e le braccia al fine di poterle schiaffeggiare più facilmente». E in quelle stesse zone - racconta Stone - se i bambini rimanevano a casa, stavano ancora peggio, perché «malnutriti e maltrattati, spesso drogati con oppiacei perché stessero tranquilli». Né in Francia le cose andavano meglio: due secoli fa un medico francese scrisse che, durante il lavoro dei campi, il bambino restava spesso in casa da solo, per molte ore, immerso negli escrementi, legato come un criminale. Se i piccoli morivano - e ne morivano a grappoli, per malattie, mancanza di igiene, negligenza, abbandono, necessità di eliminare bocche in più da sfamare - era una consolazione sapere che gli erano comunque risparmiate le pene dell'inferno e del purgatorio: li aspettava il limbo se non erano stati battezzati, altrimenti si guadagnavano direttamente il paradiso. La vita di un bambino valeva poco. E non è necessario andare a guardare nei secoli bui della storia, o negli ambienti più disperati della società per trovare il consenso - tacito o dichiarato - all'infanticidio, per avere un'idea di come venisse tutelato un tempo il diritto stesso alla vita di un minore. Nel secolo XIX un filosofo come Kant giustificava l'infanticidio del figlio adulterino affermando che «il bimbo venuto al mondo fuori dal matrimonio è all'infuori della legge... Si è per così dire insinuato nella società civile (come una merce proibita) in modo che questa può ignorarne la sua esistenza e in conseguenza anche la sua distruzione (giacché legittimamente egli non avrebbe dovuto esistere)». In compenso, la legislazione che li tutelava così poco dagli abusi degli adulti, era terribilmente punitiva nei confronti dei ragazzi: ai primi dell'800 vengono condannati a morte ragazzi di nove anni colpevoli, secondo la Corte criminale di Londra, di avere sfondato una vetrina col bastone; in Italia contemporaneamente - vengono mandate in un istituto di rieducazione, bollate come «discole», due sorelle di dieci e sei anni che nel laboratorio di sartoria dove lavoravano avevano rubato i soldi per comprarsi una bambola. E' nel 1925 che a Ginevra, con una solenne dichiarazione, la Società delle Nazioni afferma i diritti dei fanciulli. E da allora si sono susseguite nobili e fiere dichiarazioni d'intenti, proclami, impegni su scala internazionale. Il rimescolamento delle carte è recente. In questo secolo la condizione dell'infanzia si è capovolta in tutte le società avanzate. E l'attenzione alla condizione del minore si è imposta. In un crescendo disordinato e impetuoso. Fra contraddizioni e strappi, eccessi e rigurgiti di arcaiche affermazioni di potere. Che hanno visto - di recente - l'esordio sulla scena politica dei ragazzi dell'intifada e la nascita del baby-killer napoletano. Mentre intanto, come Alfredo Carlo Moro intitola un suo libro, Erode è fra noi. Liliana Madeo