Evita e le rose fiaba in Riviera di Pier Franco Quaglieni

Nuovo romanzo di Orengo Nuovo romanzo di Orengo Evita e le rose fiaba in Riviera Evita Perón (particolare della copertina di ì~\Encantadora era arriva" ta a Bordighera. Su una Cadillac coupé de ville, t La folla le si era fatta at- LI torno, sulla passeggiata. E lei, ammaliatrice di anime e di cuori, l'aveva conquistata come si conquista in chiesa un silenzio di rispetto e d'amore per la divinità che trascende. Un uomo si era fatto avanti. Con in mano un mazzo di rose. Cresciute dal suo sudore e dalla sua animosa testardaggine. Gliele aveva offerte. E lei se le era strette al seno. Sorridendo. Ne era stato rapito. E, da quel momento, la sua vita aveva incominciato a scivolare lontano da quelle terrazze di terra nera, strappate agli ulivi della montagna. Che guardavano un piccolo mare italiano. Per approdare al di là di un grande oceano argentino. In un giardino della Casa Rosada. Da dove gli sarebbe stato possibile vederla tutti i giorni. Ed offrirle ancora tante altre rose: le sue Dallas, le sue Mac Arthur che chiamava Marcantù. E la sua semplice devozione. Poi era passato il tempo. E quella storia era stata sepolta nei ricordi e nei risentimenti. Tra i rancori di una moglie abbandonata per seguire un sogno romantico. E tra i silenzi di un figlio lasciato ad indurirsi sempre più su quelle zolle che nessun altro avrebbe più rivoltato. L'Encantadora e il suo mistero La vita era continuata su quella montagna che guardava il mare. Ma Le rose di Evita, il nuovo romanzo di Nico Orengo (Einaudi), odoravano ancora. Riempiendo l'aria di un profumo romantico, di un mistero nascosto. Di cui nessuno voleva parlare a chi (nipote di quel nonno che non aveva esitato a tuffarsi nel sogno dal volto pallido della dolcissima senora Perón) stava affrontando i primi dolori dell'adolescenza. E sentiva immenso il bisogno di un'ancora a cui aggrapparsi. Marco e la sua solitudine. Marco che, un giorno tornando dalle fatiche di una montagna, a cui l'orgoglio e la dispera¬ lievo e supplente «Le rose di Evita») zione rabbiosa del padre volevano spianare i fianchi per piantare nuove rose, vede improvvisamente la madre andarsene da quell'esistenza grama, di testardi stenti contadini. Per non tornare mai più. Gli rimane solo una fotografia: il nonno e YEncantadora. Che sembrano sorridergli da una fiaba. E che paiono tendergli una mano per portare anche lui a vivere un'altra libertà. Lontano da quella valle. E da quei sentimenti parsimoniosi. Fatti di qualche gesto e di nessuna parola. Un adolescente vuole indagare Ma bisogna saperne di più. Ed allora Marco incomincia ad indagare. Come solo può fare un adolescente con l'animo in tumulto per gli abbandoni e per le disattenzioni. Interrogando una nonna che ha ancora l'animo annerito per quell'antica fuga- Un meccanico che sa tutto delle auto e di una Cadillac coupé de ville. Un medico che possiede altre fotografie dell'Encantadora. Un marocchino, Mohammed, che sembra amare sua madre. Una donna, legata alla terra, che sembra amare suo padre. E l'immaginario Sharie, che, con lo sguardo azzurro di Alan Ladd, ha saputo riportare la pace in quella fattoria in fondo al canyon così simile alla sua. In quel vecchio film ingiallito, Il cavaliere della valle solitaria, che diventa l'unico vero colloquio col mondo che gli rimane. Alla fine il passato si dipana. Le tessere vanno lentamente in ordine. E gli aneliti di un quindicenne turbato diventano crescita e scelta, in quella che è senza dubbio una storia encantada. Sullo sfondo di una Liguria di confine, triste e luminosa. Tra Bordighera, Grimaldi e Mentone. Abbarbicata alle onde. Che trascinano maree e sentimenti sotto i raggi della luna. E tra l'inebriante profumo delle prime rose e delle serre in fiore. Piero Soria giorni lo arrestarono e lo mandarono al confino. Dal fatto che Pavese si fosse dedicato alla letteratura «a tempo pieno» e non avesse scelto una professione, Monti fece quasi discendere una delle cause remote del suo suicidio. E' certamente una tesi piuttosto ardita anche se comprensibile in un uomo come Monti. Inoltre, sarebbe arduo pensare ad un Pavese professore di liceo per vocazione. Egli, così come appartenne se non superficialmente alla «banda» degli ex allievi più fedeli di Monti, fu distante dal maestro il cui insegnamento si può ritrovare - come osserva Giovanna Ramella nella «messa al bando di ogni retorica, nel riserbo, nella parsimonia dei gesti e delle parole» che accomunarono allievo e professore. Ma ciò si può rintracciare solo nell'opera letteraria di Pavese e nel suo rifiuto di ogni estetismo. Per il resto, lo scrittore seguì la sua strada che fu anche molto diversa - al di là delle apparenze - da quella percorsa dagli amici-allievi di Monti. La testimonianza di Natalia Ginzburg in «Lessico famigliare» è una prova che andrebbe ristudiata con maggiore attenzione per capire chi fu davvero Pavese. Pier Franco Quaglieni

Luoghi citati: Bordighera, Liguria