Forse già domani in Italia i killer di Livatino

Si studiano misure di sicurezza per il trasferimento dalla Germania di Domenico Pace e Paolo Amico Si studiano misure di sicurezza per il trasferimento dalla Germania di Domenico Pace e Paolo Amico Forse già domani in Italia i killer di livatino Identificatigli altri tre assassini del giudice agrigentino CALTANISETTA. Si farà in fretta. Forse Domenico Pace e Paolo Amico, 23 anni l'uno, arrestati venerdì a Dormagen, nei dintorni di Colonia, per l'omicidio del giudice agrigentino Rosario Livatino, saranno estradati a Caltanissetta già domani. Per la scorta saranno fatte le cose in grande: alla frontiera i due presunti killer saranno rilevati da un imponente schieramento di forze dell'ordine. Non si sa se verranno trasferiti con un automezzo blindato, in treno o in aereo. In questo ultimo caso, polizia e carabinieri entreranno in azione all'aeroporto «Leonardo Da Vinci» di Fiumicino. Da qui i presunti killer sarebbero fatti proseguire sempre in aereo per Catania o Palermo e portati infine a Caltanissetta, quartier generale dell'inchiesta. C'è, ovviamente, il massimo riserbo su questa parte della brillante operazione conclusa con la cattura di due dei quattro presunti assassini del magistrato, che con le sue indagini antimafia ( 11 anni alla procura di Agrigento e un anno al tribunale addetto anche alle misure di prevenzione) aveva contribuito a fare chiarezza sulle spietate trame delle cosche agrigentine. Adesso le ricerche sono tutte concentrate sugli altri due del commando e sul quinto che sarebbe stato il basista e che secondo voci insistenti potrebbe essere stato eliminato subito dopo l'agguato di venerdì 21 settembre sulla strada «veloce» Canicattì-Agrigento con il sistema della «lupara bianca». Degli altri due componenti il gruppo di fuoco, gli investigatori, a quanto sembra, sanno già tutto. I loro nomi non possono essere fatti solo perché il segreto istruttorio non è stato ancora tolto. Si tratta, come Paolo Amico e Domenico Pace, di «picciotti» dei clan agrigentini saldamente collegati a quello dei corleonesi e a quelli statunitensi e canadesi, specie questi ultimi sempre più lanciati nel grande vortice del business internazionale della droga e del riciclaggio del denaro «sporco». Rosario Livatino Pace e Amico sono già stati etichettati da tempo. Apparterrebbero alla «famiglia» dei Di Vincenzo, la più influente di Palma di Montechiaro (oltre 40 omicidi dal 1985 a oggi) che si è sbarazzata di quelle a lei avverse a cominciare dai Ribisi (quattro di sei fratelli assassinati). Il 6 agosto dell'anno scorso la coppia Amico-Pace avrebbe ucciso Girolamo Castronuovo e Gioacchino Ribisi, infiammando un'altra volta la faida di Palma di Montechiaro che pareva essere agli ultimi fuochi. Polizia e carabinieri si erano più volte occupati dei due pluripregiudicati residenti in Germania già indiziati di essere pendolari del crimine ingaggiati di volta in volta come killer dai boss agrigentini, fatti venire dalla Germania e lì tornati subito dopo gli agguati. Erano stati oggetto di accertamenti anche per i delitti di Vincenzo Geraci (9 ottobre '89), di Traspadano Anzalone e Rosario Allegro (primo novembre successivo) e qualche giorno dopo di Giuseppe Bonsignore e Salvatore Bunone. Quest'ultimo duplice omicidio, nel ristorante Grassiti di Palma di Montechiaro, fu probabilmente un «incidente»: la vittima designata, Gaspare Mallia di 25 anni, indicato come superkiller delle cosche per¬ denti, rimase illeso. Tutte le strade portano, dunque, alla faida palmese anche se due dei tre ricercati pare siano di Ramacca, altro paese dell'Agrigentino. Perché Rosario Livatino? Intanto i boss hanno voluto dare 15 giorni fa un segnale allo Stato immediatamente dopo l'annuncio di Andreotti e Vassalli che nel Sud gli organici giudiziari sarebbero stati rinforzati. E poi l'integerrimo e coltissimo magistrato di Canicattì (tre lauree, ottima famiglia, agiato ed incorruttibile) da anni era tra i più impegnati nella lotta alle cosche. Nella loro grande casa nel centro di Canicattì, in viale Regina Margherita 3IÌ anziani genitori del magistrato, l'avvocato Vincenzo Livatino e la moglie, signora Rosalia Corbo, hanno ricevuto ieri altri messaggi e telefonate. «Sì, bravi gli investigatori - ha ribadito senza più lacrime la madre -, ma nostro figlio ormai non tornerà più». Antonio Ravidà