Così furono uccisi i film rivoluzionari

Così furono uccisi i film rivoluzionari La retrospettiva veneziana 1929-1935 Così furono uccisi i film rivoluzionari Trasferiamoci a Mosca nel gennaio del '35 - come ci suggerì la retrospettiva della recente Mostra del cinema di Venezia - per la prima conferenza pansovietica degli operatori. Ha parlato con modestia e competenza Sergej Ejzenstejn, il regista che è già un mito. I tempi vanno cambiando, rapidamente i suoi allievi fiutano l'aria che tira e gli si rivolgono con altezzosità. Sergej Vassiliev, che con Georgj Vassilev ha firmato in Ciapaiev il trionfo dell'eroe rosso, gli dice di uscire dal suo laboratorio teorico-scientifico, di lasciare libri e statuette, di smettere la stupenda vestaglia con ideogrammi cinesi. «Finché non ti deciderai a vivere a contatto con la realtà e a provare ciò che provano oggi gli uomini sovietici, non riuscirai a produrre niente di buono nel tuo laboratorio». Tra il '29 e il '34 si spegne dunque la fiammata del cinema rivoluzionario, la bellezza del cinema di montaggio. Predominano ora, con il potere devoluto a Stalin e ai suoi burocrati, idee più costruttive. Nessuno oserebbe, come Sergej Jutkievic nel '29 con La vela nera, fare addirittura de La Corazzata Potemkin un personaggio nel senso che la sua proiezione a una platea popolare innamora a tal punto gli astanti che un marinaio, il quale partecipò alla vera azione ribelle nel 1905, crede di riconoscersi sullo schermo, dove invece l'azione è ricostruita. Si diffondono gl'imperativi del realismo socialista, a volte nemmeno chiari. La retrospettiva, curata da Giovanni Buttafava scomparso alla vigilia, s'intitolava Prima dei codici e, riferendosi alla produzione nel periodo 1929-1935, si collegava con l'analoga macchina hollywoodiana prima del Codice Hays. I titoli volutamente non si riferivano tutti a opere d'arte ma fornivano lumi sulle difficoltà per i cineasti di operare con serenità nel travaglio di rinnovamento della società. Ecco La fisarmonica di Igor Savshenko, dove si mette a profitto il divertimento provato assistendo ai musical a stelle e strisce. Il segretario del collettivo imbraccia la fisarmonica che aveva accantonata per eccesso di puritanesimo e sconfigge i reazionari, le loro melense canzoni, i dubbi sull'avvenire. Ed ecco La dote di Zuzuna di Siko Palavandishli con l'allegra riabilitazione d'un ladro di cavalli, che si spaccia e diventa un fabbro eccellente al servizio della comunità (nel finale un doppio bacio del protagonista all'innamorata e d'un allevatore al proprio cavallo suscita un'ilarità divenuta proverbiale). Non tutto si risolve in piccole riverenze d'obbligo. A volte le ingerenze dell'«apparato» sull'opera cinematografica si configurano come terrificanti e originano drammi profondi. Quando l'intero Politburò si riunisce per esaminare La mia patria di Chejfiz e Zarchi, non si aspetta altro che un cenno negativo di Stalin a Kaganovic. Il film non passa, dileggerebbe l'Armata Rossa. Chejfiz, in un'intervista postuma pubblicata a firma di Buttafava, si è sempre domandato: «Fu uno shock e non capivamo perché il sacrificio eroico di una pattuglia venisse giudicato una disfatta. E perché bisognava mostrare l'Armata Rossa felice e contenta quando la realtà della guerra era tutt'altra? Perché l'amicizia tra un giovane cinese e un soldato dell'Armata Rossa, simbolo di internazionalismo di classe, non andava bene?». I cineasti s'interrogano e mascherano con nervosismo la loro confusione come quando Pudovkin, il grande autore di La madre e La fine di San Pietroburgo, si sceglie un bersaglio facile in Ejzenstejn ormai inviso a Stalin e lo chiama galattico. Pudovkin ha finalmente un soprassalto dialettico nel domandarsi che cosa sia la bellezza e perché non debba consistere in un'astrazione: «Una volta ci è stato detto: "Voglio vivere bene". Questa è un'astrazione. Sostengo che la frase debba invece essere così formulata: "Vivere bene significa vivere come si desidera". Questa è la strada per ritrovare la bellezza». Sennonché è Pudovkin il primo a rinunciare ad approfondire la ricerca estetica e ideologica, dacché condanna secondo l'aspra morale rivoluzionaria la passione d'un ex combattente della Guardia Rossa per una donna che non è sua moglie. Tormentato da un crescendo di rimorsi, l'uomo torna in famiglia deciso a farsi perdonare. D'accordo magari, ma che fu della rivale? Non aveva un'anima, non meritava un'attenzione narrativa? Probabilmente Pudovkin sopporta per Un caso semplice le censure dall'alto in attesa di momenti migliori, che non verranno mai. Proprio il discorso sulla felicità e sull'individualismo stronca Il giovane severo di Abram Room, che tra il '35 e il '36 viene dibattuto ad alti livelli senza mai trovare un'uscita. Ritornerà alla luce soltanto nel '74, in occasione d'una retrospettiva dell'ottantenne regista. Vi si diceva chiaro e netto che la fine del capitalismo coincide con la fine dell'infelicità. Tuttavia, per riprendere gl'interrogativi di Pudovkin, sentenziava che il comunismo era contro l'uguaglianza. La cosa suonava bestemmia in sé e non importava che Abram Room elaborasse la teoria dell'emulazione per indicare la marcia del proletariato e la necessità dei leader. Come in un incubo il «giovane severo» disturba una festa promossa dal chirurgo, dove peraltro il lusso e la fatuità parrebbero direttamente ereditati dal vecchio regime. Negli Anni 30, viene da concludere al termine della ventina di film proiettati a Venezia, i motivi migliori risalivano al primitivo empito rivoluzionario e le soluzioni più fantasiose avevano ancora un piede nel muto. Grandioso, per quanto inserito in un quadro educativo, il finale di II cammino verso la vita di Nikolaj Ekk con gli orfani radunati per l'inaugurazione della ferrovia in piedi di fronte al cadavere del loro compagno ucciso da un ladro che non gli aveva perdonato il «tradimento». E' il primo film sonoro, nel giugno del '31, tuttavia nella statuarietà delle figure e nel montaggio eloquentissimo, si richiama ai classici del muto senza cadere nella trappola del dialogo e della musica a ogni costo. Esemplare in questo senso è Okraina («Sobborghi») di Boris Barnet che riprende il tema dell'internazionalismo proletario bocciato da Stalin in persona nel caso di La mia patria. Un tedesco prigioniero in Russia viene ferito dai cittadini inferociti durante la prima guerra mondiale, ma l'eroe positivo li rimbecca: «Avete colpito un calzolaio, non un tedesco». E poi un soldato getta le scarpe sdrucite in trincea, che idealmente vanno a cadere in un mucchio di altre nuo¬ ve, le quali simboleggiano i facili profitti bellici. E mi'altra scarpa gettata dal tavolo dell'artigiano in questo mucchio produce per la magìa del montaggio uno scoppio nella medesima trincea. Il 2 marzo del '35 si chiude a Mosca il 1° Festival internazionale con l'inevitabile trionfo della Len'film davanti a René Clair e a Walt Disney. Una settimana dopo, il 9 marzo, Nikita Krusciov diventa primo segretario della regione di Mosca. Sarà lui a promuovere, negli Anni 50 e 60, un rudimentale disgelo nella cinematografica. Ma questa è un'altra storia. Piero Perona Un'immagine del primo film sonoro: «Il cammino verso la vita» di Ekk ( 1931 )

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