Pieci «quadri» per parlar di droga di Piero Zanotto
Dieci «quadri» per parlar di droga Dieci «quadri» per parlar di droga Difficili, ambiziosi «Tarassachi» fuori concorso VENEZIA. Non mettiamo certamente in dubbio l'onestà di intenta di Francesco Ranieri Martinetti, Fulvio Ottaviano e Rocco Martelliti, autori in comune del film «I tarassachi» che è passato ieri, fuori concorso, sullo schermo lidense di «Venezia XLVII». Accolto, dobbiamo dire, con reazioni contrastanti sia alla visione per la stampa che a quella normale, in Palazzo, per il pubblico. Un film sulla droga, concepito scritto e girato con il proposito di fare opera non scandalistica, non spettacolare, piuttosto di prevenzione. Senza comunque una esposizione «didattica», dimostrativa (in un senso didascalico) delle devastazioni spesso mortali recate dall'uso di stupefacenti. Spiegano i tre autori, con una didascalia d'apertura, che il taràssaco, pianta del dento del leone, violento nel giallo dei suoi fiori, è invece debole nella natura del suo soffione, che si dissol¬ ve facilmente nel vento e attecchisce ovunque perché gli basta un nulla per germogliare. Esattamente come fa la droga, che non conosce distinzioni di ceto e di sesso né, anche, di età. Quindi iniziano la loro esposizione, ch'è una frantumazione di brevi quadri. Un totale di dieci «racconti», che non possono nemmeno dirsi tali in quanto si limitano a suggerire il loro contenuto, senza approfondirlo, ricorrendo il minimo indispensabile al dialogo, troncando - magari - proprio là dove lo spettatore avrebbe voluto saperne di più. Una scelta abbastanza inconsueta, se vogliamo difficile. Certamente rischiosa. Tanto da lasciare, spesso, in platea, un evidente palpabile segno di perplessità. Dobbiamo dire che non si vede una sola siringa. Che taluni episodi suggeriscono non tanto l'uso della droga da parte del protagonista bensì le ragioni che pos¬ sono aver facilitato l'accostarsi ad essa. Ad esempio l'episodio che ha come interprete Sergio Castellitto: «La sedia». Si assiste alla riflessione invelenita del personaggio verso il padre, ch'egli immagina sia seduto su una sedia vicino a lui che è invece vuota. Mancanza di affetto, di comprensione, di tempo disponibile. Rimprovero per un'indifferenza giustificata dal troppo lavoro speso per crescere i figli, per la famiglia insomma, che il giovane invece dice essere stato impiegato solo per la carriera e i soldi. Dall'inquadratura fissa la camera «allarga» sino a rivelare il totale della stanza: Castellitto sta solo «recitando», cioè dimostra ad un gruppo di allievi come una situazione così può essere rappresentata scenicamente. E la droga? Può essere venuta per il protagonista dopo, come conseguenza... Altri spaziano attraverso altre angolazioni. Il neonato che ha bisogno di qualche goccia di morfina sul biberon perché figlio di una donna tossicodipendente; oppure la sudditanza a certi farmaci anche e forse soprattutto in tarda età. E qui si mette in scena la giornata di un anziano solo. Episodi meno efficaci si alternano ad altri più riusciti, i quali traggono una loro forza dalla essenzialità che li compone. Per tutti, quello chiamato «Le buccole di corallo» che mostra una madre convinta d'avere recuperato la figlia dalla droga e può quindi, ora, stanare da un nascondiglio un paio di orecchini di famiglia e donarglielo. Si ha però la sensazione di un'operazione non totalmente riuscita. Pecca forse di ambizione e benché affidata talora ad attori di buon nome (oltre a Castellitto, ad Athina Cenci, a Cochi Ponzoni) è recitata da molte figure con toni dilettanteschi. Piero Zanotto
Persone citate: Athina Cenci, Castellitto, Cochi Ponzoni, Fulvio Ottaviano, Ranieri Martinetti, Rocco Martelliti, Sergio Castellitto
Luoghi citati: Venezia
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