Mi sento classica di Donata Gianeri

Mi sento classica La Pitagora ieri al Festival di Benevento Mi sento classica In un ruolo «viscerale» Ieri sera ha debuttato con successo al festival di Benevento ne La ragione degli altri di Pirandello, con la regia di De Fusco. Dopo un'estate laboriosissima che l'ha portata prima al festival delle Ville Vesuviane con Anfitrione accanto a Rigillo: «Due giorni di vacanza in tutto in Lunigiana, dove mio marito ha una casa. E credevo proprio che sarei morta, scoppiata di solitudine, caldo e fatica. Invece eccomi qua, sto benissimo» dice Paola Pitagora, i capelli che le grondano lunghi intorno al viso intenso e risucchiato, un po' medievale «Con un viso così mi sento un classico, come la Divina Commedia o una salita di San Gimignano». Di lei, si sarebbe potuto pensar tutto tranne che si sentisse un «classico»; anche se una volta scesa dalle barricate, la Pitagora s'è trasformata, rientrando compitamente nei ranghi e oggi non solo si trucca e si veste «da signora», ma ha deciso persino di cimentarsi in un autore dai facili consensi, come Pirandello. «Non è che ho deciso io, semplicemente me lo hanno offerto: perché non è che una oggi possa scegliere, può soltanto accettare o rifiutare. Ed io ho accettato, anche se dovevo rinunciare alle vacanze, perché mi piace recitare con De Fusco e perché si trattava di una pièce intrigante, pirandellissima: tutto un intruglio viscerale sulla maternità. Incarno una donna sterile e disperata che finisce per scippare la figlia che il marito ha avuto dall'amante, con argomentazioni, ovviamente, molto pirandelliane. Un personaggio ricco di lucidità ma con l'inevitabile punta di follia, perdente e allo stesso tempo vincente. Insomma, contorto e difficile, ma proprio per questo affascinante, perché se hai un'attrice dentro, l'attrice cresce». — Che cosa significa, oggi, essere attrice? «Già, cosa significa? Essere attrice, oggi, non vuol dire soltanto interpretare bene un personaggio sulla scena: di attrici così, in Italia, ce ne sono tantissime, checché si dica. Un'attrice a tutto tondo è qualcosa di più, è sapersi inventare, sapersi dirigere e siccome io non ho ancora incontrato Victor Hugo che abbia esclamato, ve- dendomi: O, Sarah, scrivo questa cosa per te e andiamo insieme a passeggiare sui Campi Elisi!, aspetto». — Aspetta cosa? Che qualcuna le scriva la storia su misura? «Non è neanche questo, vede? Non si tratta tanto di cucirti addosso dei monologhi, perché non puoi neanche recitare per tutta la vita il tuo monologo illuminante e spiritosissimo, come certe mie colleghe. Si tratta proprio di riuscire a far quadrare il tutto, rispetto a quello che hai compreso della vita. E a quello che vuoi dire». — Dopo di che cosa succede? Una si fa avanti sgomitando e dice: eccomi, sono pronta? «Le sembro il tipo? Se c'è una che non ha mai saputo farsi avanti, questa sono io. Ho sempre avuto la fortuna di poter lavorare perché me lo hanno chiesto e senza dover scendere a nessun compromesso. Il che si può vedere chiaramente, esaminando il mio conto in banca. Ma se all'improvviso si dimenticassero di me, non saprei proprio a che santo votarmi, credo che me ne starei disperata nel mio cantuccio senza muovere un dito». — Lei ha rapporti più facili, o meno difficili, col teatro o col cinema? «Come si fa ad avere rapporti col cinema, oggi? Ottenere una parte è come un gioco di bussolotti, un caso. L'inverno scorso ho girato un film diretto da Piero Nàtoli, Gli assassini van¬ no in coppia, genere giallo sentimentale, che mi sembra molto carino, ma non si sa quando uscirà. A me il cinema piace molto, perché ti permette di mettere a fuoco le piccole cose. Prima di diventare decrepita, vorrei veramente riuscire a interpretare un buon film, credo mi spetti di diritto. Ma se non capita, pazienza. Ho imparato a fare questo mestiere con passione ma anche con disincanto, schiacciando maggiormente il pedale sulle corde della creatività, piuttosto che su quelle dell'arrampicamento angoscioso». — Il teatro, invece, le offre maggiori sicurezze? «I miei rapporti col teatro sono sempre stati creativi, ma faticosi. Nel teatro, però, la professionalità premia, il pubblico ti ricorda: tornare nella stessa città a distanza di anni e trovare la gente che ti riconosce, dà un senso di continuità alla vita. E' uno di quei rari casi in cui il tempo ripaga, anziché sottrarre». — A parte questo, il tempo che passa le fa paura? «No, non ancora. Mi sembra tutto molto uguale e io mi sento sempre uguale a me stessa. Forse, comincerò a temerlo quando mi accorgerò che sto invecchiando: anche se penso, tutto sommato, che la vecchiaia non debba essere poi così terribile e fine a se stessa: ci sarà pure un corrispettivo. Comunque, le saprò dire». Donata Gianeri L'attrice tra un nuovo Pirandello, «La ragione degli altri», e la ricerca di un film veramente buono Paola Pitagora. «Sono una che non ha mai saputo farsi avanti»

Luoghi citati: Benevento, Italia, San Gimignano