Savona, liberi i narcotrafficanti

Savona, liberi i narcotrafficanti Scadono i termini di carcerazione preventiva per 43 fra colombiani e italiani Savona, liberi i narcotrafficanti Raffinavano la cocaina in arrivo dalla Colombia SAVONA. A Tovo San Giacomo, in provincia di Savona, 2 anni or sono, avevano installato il più grande centro continentale di raffinazione della cocaina proveniente dalla Colombia. Avrebbe dovuto rifornire il mercato europeo, più redditizio di quello Nord americano, ormai saturo. Altre raffinerie erano state utilizzate e abbandonate a Varazze, a Tortona (nell'Alessandrino) e a Voghera (nel Pavese). Sono i 43 imputati colombiani, alcuni legati ai «cartelli di Medellin e Cali», e italiani, condannati dal tribunale di Savona, il primo luglio dell'anno scorso, per detenzione e spaccio di cocaina (molti, anche per associazione a delinquere e traffico internazionale) ad una pena complessiva di 712 anni di carcere e a molti miliardi di multa. Fra questi anche l'aiuto primario di pediatria dell'ospedale di Voghera, Giorgio Cevini, e la moglie, Renata Gilona. La donna, insieme a Giuseppe Bagnasco (Tortona), al panamense Leonardo Geremia, ai romani Alfonso Troisi e Sergio Acciari e al colombiano Gabriel Alarcon Pinilla, ha lasciato il carcere per decorrenza dei termini della carcerazione preventiva. Fra pochi mesi, anche il pediatra di Voghera, condannato a 30 anni di carcere, gli al¬ tri capi dell'organizzazzione e tutti gli altri complici potrebbero riacquistare la libertà per la stessa ragione. La motivazione della sentenza, nonostante il presidente del tribunale, Fiorenza Giorgi, abbia rinunciato alle ferie per estenderla, non è ancora giunta a Genova dove deve essere fissato il processo di appello. Tenuto conto del tempo necessario per la notifica ai difensori degli imputati e di quello concesso dal codice di procedura penale per redigere i motivi di appello, appare impossibile che il processo di secondo grado possa concludersi prima che scadano i tempi della carcerazione preventiva per tutti gli imputati (fine ottobre). L'unica via per evitare che i narcotrafficanti ritornino in libertà resta la richiesta di una proroga di 6 mesi dei tempi della carcerazione preventiva. E' ciò che, nonostante l'opposizione dei difensori, farà il giudice Giorgi. Per smantellare l'organizzazione criminale, che faceva capo a Honorio Huertas, Hugo Pardo Gaona, Mario Ochoa, Cristian Harmony Coubash e altri uomini legati ai «cartelli di Medellin e Cali» e con appoggi fra esponenti di «Cosa Nostra» negli Stati Uniti, i carabinieri della sezione anticrimine di Genova impiegarono 5 anni. Un sottufficiale infiltrato rischiò la vita accettando di recarsi nei «santuari» colombiani e tenendo i contatti a Miami (Florida) con i boss dei narcotrafficanti. Il sostituto procuratore della Repubblica, Tiziana Parenti, che coordinò l'indagine e firmò gli ordini di cattura, sarebbe stata ripetutamente minacciata di morte. La trappola scattò nella primavera del 1988, dopo che molti dei corrieri di cocaina furono bloccati negli aeroporti di Milano, di Parigi e in Spagna. Nella raffineria di Tovo San Giacomo venne sequestrato mezzo quintale di cocaina. Altre decine di chili di droga furono intercettati in Liguria e in altre regioni, mentre venivano smistati in tutta Italia. Poi, furono sequestrati 2 quintali di cocaina imbarcati sulla motonave «Future Hope», attraccata a Genova con un carico di «panela» (distillato della canna da zucchero) nei cui pani era nascosta la droga. Nel frattempo erano state scoperte le raffinerie di Pontecurone, Tortona e Varazze, e due dei canali per il riciclaggio dei narcodollari: la «Bank of credit and commerce» di Panama, e la «Banque de commerce e placement» di Zurigo, con cui operava Leonardo Geremia, veneto con domicilio a Panama, legato ai trafficanti colombiani. Bruno Balbo La villa di Tovo San Giacomo, vicino a Savona, dove veniva raffinata la droga