Bush il centralinista
Bush il centralinista Bush il centralinista Telefonate a raffica con i Grandi NEW YORK DAL NOSTRO INVIATO Quando il telefono squilla alla Casa Bianca, in questi giorni di crisi, dall'altra parte del filo c'è quasi sempre un re, un presidente o un capo di governo. E la stessa cosa succede quando è Bush a chiedere la linea. Il Presidente, da quando le truppe irachene hanno invaso il Kuwait, si è trasformato in un grintoso centralinista che passa buona parte del tempo a coordinare la sua offensiva dipìomatica e militare al telefono. Fonti della Casa Bianca sostengono che ha avuto tra venti e trenta conversazioni telefoniche con i leader dei maggiori Paesi coinvolti nella crisi. E non c'è conferenza stampa o riunione di gabinetto in cui non faccia l'elenco delle telefonate della giornata. «Devo lasciarvi - ha detto l'altro giorno ai giornalisti - perché aspetto una chiamata dal presidente Ozal, con il quale ho già parlato ieri. Questa mattina ho anche telefonato al primo ministro Kaifu. E ho appena finito di parlare con il primo ministro Mulroney e il presidente Mitterrand. E ieri con l'emiro del Kuwait». Bush ama ricordare al pubblico la frequenza delle sue telefonate perché sin dall'inizio di questa crisi ha cercato di «internazionalizzare» al massimo il responso all'invasione irachena. Nel discorso al Paese di mercoledì ha sottolineato che la decisione di inviare truppe statunitensi in difesa dell'Arabia Saudita è stata presa dopo consultazioni telefoni¬ che «intense, senza precedenti». Ma questa propensione all'uso del telefono riflette anche un modo personale di condurre le relazioni diplomatiche. E lo stile Bush, dicono alcuni osservatori della Casa Bianca, sembra a sua volta il prodotto del suo curriculum vitae. Prima di divenire presidente ha lavorato in diplomazia (ambasciatore a Pechino durante la presidenza Nixon), è stato direttore della Cia e per otto anni ha viaggiato per il mondo come vice di Reagan. Tali incarichi gli hanno permesso di moltiplicare i contatti ai vertici della politica internazionale, costruendo negli anni una ricca rete di conoscenze. E l'esistenza di questa rete fa sì che quando sorge un problema o scoppia una crisi il suo impulso è quello di alzare la cornetta piuttosto che usare i canali tra dizionali della diplomazia, più burocratici e lenti. Ma in questi giorni Bush ha anche dovuto assaporare i li¬ miti di questo stile diplomatico, dominato da rapporti personali e dall'uso del telefono. Sia il presidente Mubarak che re Hussein di Giordania lo avevano assicurato per telefono dieci giorni fa che Saddam non avrebbe invaso il Kuwait. Bush - dicono adesso alla Cia - si è fidato del loro giudizio e gli Stati Uniti si sono trovati impreparati di fronte all'invasione irachena. Nei giorni successivi Mubarak è stato il primo leader arabo a schierarsi contro Saddam. Il re di Giordania, invece, ha appoggiato l'Iraq nel tentativo di mediare la crisi. Ciò ha portato alla difficile telefonata di Bush a re Hussein. Col passare degli anni e dopo numerosi incontri, Bush si era convinto che su re Hussein avrebbe potuto contare in situazioni come questa. Ma quando ha visto che la Giordania non si schierava con gli Stati Uniti, ha di nuovo preso il telefono per esprimere al re la sua delusione. [a. d. r.]
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