Stones: quando le pietre rotolano ancora di Stefania Miretti

Stones: quando le pietre rotolano ancora Il concerto torinese di sabato sera ha ribadito un concetto: vince solo chi sa davvero far musica Stones: quando le pietre rotolano ancora Un successo chiude Vanno dei fiaschi di Madonna ePrince TORINO. Ulisse e i suoi compagni viaggiano da venticinque anni, perseguendo più conoscienza che virtute. Hanno rughe su facce terribili, facce che ricordano «il crollo d'una diga». E ne hanno viste di cose, reggendo il timone d'acciaio della loro petroliera, mari in tempesta, guerre stellari, giungle metropolitane. Le città-porto di Biade Runner, gli incubi di Carpenter materializzati in ^nostri, i cani, nuovi lupi mannari americani, lanciati all'attacco della nave, le bambole gonfiabili feroci nello sguardo, moderne sirene che distraggono la ciurma lasciando dondolare scarpa e sigaretta. Prove assai più terribili di quelle d'un tempo li attendono, altro che sesso, droga e rock'n'roll, altro che alcol e galera. Sul ponte di comando c'è il pirata Keith Richard. Il più fiero, il più coraggioso. Anche lui, come Indiana Jones, quest'anno è in viaggio con papà. E ce capitan Mick Jagger, il più beffardo, il più invidiato. Passata la minaccia di agguati ed attentati — il terrore che, più della giovane età, un tempo lo faceva correre sempre — ha un po' allentato la guardia e ora si concede qualche pausa. Non vanno affatto d'accordo, il capitano ed il pirata: anni di convivenza forzata su quella maledetta nave hanno scavato tra loro trincee rancorose che né la saggezza di Wyman, né l'autorevolezza di Watts, né l'intermediazione di Wood hanno saputo colmare. La ciurma per ora gira alla larga e si fa i fatti suoi, ma l'ammutinamento resta sospeso nell'aria. I nuri sono tutti sottocoperta, nella stiva, ai fiati. E il mare di cinquantamila spettatori, lì sotto, è in tempesta: si aspettava la bonaccia, non queste onde turbolente e improvvise, ora violacee, ora verde scuro. Ma sulla petroliera si suona, eccome se si suona. Come negli ultimi tempi non si è mai sentito suonare su altri non meno imponenti palcoscenici, come gli stessi Rolling Stones non suonarono otto anni fa a Torino. E allora, con tutta questa musica di chitarre e batterie, di bassi e di tastiere, che rimbalza e colpisce duro e spazza via la bonaccia, si vorrebbe sapere: quand'è successo, perché è successo che il rock ha abdicato in favore di un immaginario che non è il suo, rubato al cinema, al teatro, alla letteratura fantascientifica, se non, orrore, il ricco musical americano? Era proprio necessario? E davvero le «good vibration» si sarebbero squagliate come neve al sole, se il rock non avesse intrapreso, negli Anni Ottanta, la gara spaccona e infantile, sicuramente suicida, a chi la spara più grossa, a chi fa il botto più for¬ te? Certo se contraddizione c'è, la si avvertiva bene sabato sera, allo Stadio delle Alpi, dove i Rolling Stones hanno tenuto, di fronte a cinquantamila spettatori, uno spettacolo molto bello, degno davvero dell'addio che si ripromettono di dare al mondo con il tour «Steel Wheels». Perché a compiere il miracolo, a trasformare un pubblico partito scettico e freddino in un'arena tumultuosa ed appagata, non state le luci pure mirabolanti, né le scenografie pure fascinose e preziose nei dettagli, ma la musica. Quel rock dato per agonizzante, e invece ancor vivo, sporco, brutto e cattivo, se sul palcoscenico c'è qualcuno che lo sappia suonare (Vasco Rossi avrebbe dovuto salvare il concerto degli Stones? Ma non scherziamo). O forse il problema è un altro, forse la malattia che affligge i concerti dal vivo è una specie di virus: come tante altre cose che un tempo non lo erano, anche il rock è diventato neutrale. Proprio il rock, figlio di quelle musiche nere che neutrali non lo erano state mai, simbolo bianco di rivolta, di protesta, di anticonformismo. Musica contro, comunque, sempre, come sapevano bene i Rolling Stones, che nelle facce e nelle schitarrate dal vivo conservano quella rudezza stemperatasi invece negli ultimi dischi; come hanno imparato gli eredi U2, sabato sera a Torino come spettatori, e pochi altri. Il resto, ciò che abbiamo visto negli ultimi anni, annega in un mare di neutralità leziosa, di assenza, di noia. Musica senza immaginario, che deve cercare altrove, in altre forme artistiche, quella carica che da sola sembra non saper più offrire. Fuochi d'artificio al Polo Nord. Sabato sera i Rolling Stones hanno tenuto allo Stadio delle Alpi un grande concerto, che dal punto di vista degli organizzatori chiude onorevolmente, ancorcLd in passivo, la stagione dei fiaschi, l'estate che ha travolto Madonna, messo in fuga Prince e colpito duro persino le vecchie pietre rotolanti. Da parte loro, i quasi cinquantenni Jagger, Richard, Watts, Wyman e Wood hanno salutato il pubblico con «I can't get no Satisfaction» (una nemesi: la scrissero nel '65, da allora soddisfazione ne ottennero, eccome) e sono spariti nel buio sulle note della Cavalcata delle Walchirie. Qui finisce la loro lunga e leggendaria stagione rock. Su quelle pietre ora, chi abbia voglia di fermarsi a riflettere, per amore del rock o del portafogli, potrà costruire nuove chiese. Stefania Miretti I Rolling Stones. Un grande successo a Torino: in 50 mila ad applaudirli

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