Arte, miliardi e sospetti di Alberto Gedda
Arte, miliardi e sospetti «Sold Out, tutto venduto» (Rusconi) di Roberto Baravalle Arte, miliardi e sospetti Mercato e soldi sporchi in un thriller \ì BORDIGHERA ITTORIO Sgarbi l'ha definito un libro noioso: eppure l'aver scritto il romanzo giallo «Sold Out, tutto venduto» (Rusconi editore, 24.000 lire) è costato caro all'ex insegnante cuneese Roberto Baravalle, da anni operatore nel mercato internazionale dell'arte, che ha raccontato nella sua crescente follia e spregiudicatezza riferendo aneddoti, maneggi, tic. Così in molti gli hanno voltato le spalle per aver «osato raccontare» (e con un buon ritmo thrilling, nonostante le velenose battute di Sgarbi), tant'è che Baravalle si trova forzatamente a riposo e quindi con tutto il tempo a disposizione per meditare un secondo romanzo. Che s'annuncia ancora giallo. «Onestamente "Sold Out" l'ho scritto per divertimento, senza l'intenzione di muovere accuse ad alcuno - ci confida, sulla spiaggia di Bordighera, il magro e lungo Baravalle, 42 anni e un figlio di undici -. E' stato un divertimento basato comunque su una mia passione letteraria: dal 1966 all'80 ho scritto e pubblicato poesie, con tutte le frustrazioni che ne derivano anche se non ho mai sofferto per non essere diventato un poeta famoso. Non avevo il classico romanzo nel cassetto oppure l'ambizione di pubblicare, come fanno in troppi soprattutto in Italia, un libro per ergermi a protagonista: in "Sold Out" non c'è nulla di autobiografico se non i riferimenti, precisi, a persone e situazioni». E allora com'è venuta la voglia di provarsi quale romanziere? «In modo casuale. Un giorno è arrivata nella galleria di Philippe Daverio, a Milano, dove lavoravo, un brillante dirigente della Rusconi, Cristina Poma, che evidentemente stava cercando un'idea. Ci provocò sulla possibilità di scrivere un libro sul mercato dell'arte e i suoi meccanismi, di facile comprensione. Io mi sentivo gonfio di un'anedottica sterminata in questo campo, in Europa e negli States, così accettai la sfida: mi sono chiuso per un mese nella casa di famiglia a Farigliano e ho scritto le prime cento pagine». Ma perché un giallo? «L'ho pensato immediatamente perché adoro i romanzi gialli e volevo divertirmi in questo genere, scrivendo comunque un buon libro: non ho mai pensato al libro della mia vita sennò mi sarei subito rotto le scatole. Credo molto invece negli intrecci: la letteratura italiana sta ammazzando il suo pubblico a furia di libri intimi- sti e autobiografici con pseudoavanguardie alla Busi che rifanno tutto in nome del marketing, del battage pubblicitario, infischiandosene della qualità. Io credo d'aver scritto un libro molto buono nel campo della letteratura media, quella che manca nel nostro Paese». Il libro sarà buono ma comunque non è stato recensito né pubblicizzato. «E' vero: un paio di servizi su settimanali, una bella recensione della giallista Laura Grimaldi, una sola manchette pubblicitaria e poi l'incontro/scontro con Sgarbi al Maurizio Costanzo Show. Sgarbi, che stimo come studioso e detesto come persona pubblica, si è molto risentito per la figura di pavido che gli ho fatto fare nel romanzo ma non può certo contestare, in coscienza, la qualità della scrittura». Andiamo per ordine. Nel romanzo c'è Sgarbi ma anche Zeri, la Finarte e le gallerie, la mafia e gli ex terroristi, il denaro sporco da riciclare e le vertiginose quotazioni di quadri e opere d'arte. Non c'è un po' troppo? «No, assolutamente. E' la narrazione, tramite lo specchio della finzione letteraria, di questa realtà in cui ho vissuto e operato per anni organizzando, tra l'altro, l'ultima mostra italiana di Andy Warhol. Ci sono anche i critici d'arte dei giorna¬ li, che definisco quasi tutti incapaci (e forse per questo non ho avuto recensioni), le signore borghesi che frequentano salotti e inseguono i tenebrosi di turno, i killers usati da certa mafia che provengono dal terrorismo nero...tutto questo però è narrato con un taglio direi cronachistico cosicché si dimenticano gli Sgarbi e gli Zeri per gettarsi nella vicenda». Al centro di tutto c'è un courtier (mediatore/rigattiere), Beppe Minorile, sfortunato da sempre, che trova casualmente due quadri di Pollock in una balera fallita di Camogli. Si sente prossimo al grande balzo ma invece è l'inizio di un incubo. Ma sono possibili questi ritrovamenti? «Sono colpi di fortuna, un po' come vincere la lotteria ma direi meno rari. Più che altro c'è un dato oggettivo, aldilà dei ritrovamenti casuali, ed è l'avanzata del mercato con le fauci sempre più spalancate, affamate d'occasioni in cui investire denaro (spesso "sporco") rivalutando così pittori squallidi del passato che diventano i maestri di oggi. E' indubbio che la mafia ricicli i suoi guadagni spaventosi nel mercato dell'arte, nessuno sa quanto sia grande la massa di denaro liquido pronto a essere impiegato in operazioni "pulite": c'è un'enorme ricchezza che preme per essere investita e così il mercato è in una corsa senza freni che lascia perlomeno perplessi se non inorriditi. Il clima è grottesco ma, soprattutto, tragico». Insomma, Baravalle, quello dell'arte è un mercato marcio? «Non dico questo. Di certo, come tutti gli ambienti con a disposizione cifre da capogiro, è attraversato da mille aspetti mentre ci si attende che sia regolato efficacemente, soprattutto nel nostro Paese dove ci si illude di "moralizzarlo" con le bolle di accompagnamento per le opere d'arte. Questo mercato ha bisogno d'essere diffuso, sostenuto, incoraggiato con una legislazione non punitiva: solo portandolo alla luce del sole si possono tagliare le unghie di quanti operano nell'ombra. L'Italia ha delle risorse artistiche enormi che vengono soffocate da balzelli, leggi, notifiche che provocano il mercato nero: sembrerebbe anzi che a volerlo siano le stesse istituzioni». In questo mercato, per ora, lei comunque non opera proprio a causa del suo romanzo, le pesa? «Sì e no. Il libro mi ha messo nella condizione oggettiva di non poter continuare in quest'attività per le situazioni di attrito che si sono create: nessuno mi ha licenziato (come spettegola Sgarbi) ma per qualche tempo preferisco fare altro. Mi è stata rimproverata la sfacciataggine che avrei usato nel dire le cose: la gente si è inalberata perché l'ho descritta con i suoi tic. Peccato, credevo che ormai si potesse democraticamente dire che il re è nudo.» Alberto Gedda Roberto Baravalle: la gente si è inalberata perché l'ho descritta con i suoi tic
Luoghi citati: Bordighera, Camogli, Europa, Farigliano, Italia, Milano, States
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