Il convitato di ferro conquista Rovereto di Angelo Mistrangelo

Il convitato di ferro conquista Rovereto Armeria di Torino nelle foto di Lanzardo Il convitato di ferro conquista Rovereto ~w] ROVERETO I 1 profilo nitido, lucente, I tagliente dell'elmetto di I Emanuele Filiberto MI emerge dalle fotografie di Dario Lanzardo, da un «reportage» effettuato all'interno dell'Armeria Reale di Torino, da una ricognizione intorno alle armature che ora viene presentata al Museo storico italiano della guerra. Realizzata con il concorso dell'Assessorato alla Cultura del Comune, dell'Apt provinciale, quest'esposizione, aperta fino al 2 settembre, allestita da Giovanni Marzari, rinnova l'incontro con una scelta di fotografie proposta in precedenza al Palazzo Reale di Torino, nella chiesa di San Bernardino di Ivrea, al Fleisher Art Memorial di Filadelfia, mentre il prossimo inverno sarà, trasferita al Baverische Natiolmuseum di Monaco. Un documento, quello di Lanzardo, che lega la storia all'evoluzione del gusto, le splendide testimonianze all'arte della guerra, in una sequenza che sembra riacquistare forma e aspetto terrificante e valore simbolico mediante un itinerario che ha il fascino medioevale delle corazze, delle spade, delle lance da combattimento, delle giostre. La fotografia restituisce la suggestione del tempo, ricompone frammenti di identità, scava in un mondo di parvenze figurali che ricompaiono dalle stanze del Museo torinese: «Ho scelto di fotografare - scrive Lanzardo nel volume "Il convitato di ferro" delle edizioni II Quadrante tutto quanto colpiva la mia immaginazione senza tener conto del valore storico dei singoli oggetti, collegando un'immagine all'altra attraverso analogie che si alimentavano nella forza espressiva delle armature». E' una forma che si ravvisa osservando queste immagini capaci di raccontare gli episodi del cammino de «Il cavaliere armato», di scoprire quelle ombre che proiettano nella profondità dell'atmosfera il «simulacro dell'oggetto» e, per successive adesioni al tema trattato, le linee della moda, l'aggressività delle maschere e gli alimenti dell'armatura vista «nella sua rappresentazione più astratta, come personaggio». In tal senso si definisce il discorso di Lanzardo, si chiariscono i presupposti di una ricerca che ha il segreto incantamento di un sogno, di cavalieri bretoni, di guerrieri giapponesi immortalati dal regista Kurosawa ne «I sette samurai» e in «Ran», dove ha impiegato 1100 armature, come nota Paolo Bertetto. E il cinema le ha utilizzate, a più riprese: Fritz Lang per i «Nibelunghi» e «Metropolis», Bresson per «Lancillotto e Ginevra» in una scansione della raffigurazione in cui si evidenziano i modelli quattrocenteschi e la loro lucentezza esalta il ritmo compositivo in una determinata volontà di misurarsi con l'evoluzione degli argomenti, con il proprio ambiente. Dai fotogrammi, l'attenzione ritorna alle «tavole» fotografiche con l'armatura «alla massimiliana» e quella mamelucca, con il cimiero in cuoio e il corsaletto da cavallo di Alessio Maurizio Parella di San Martino. «Attraverso la fantasiosa evidenziazione di taluni particolari - suggerisce Gillo Dorfles - e la sottolineatura della espressività "parlante" delle singole armature, le immagini permettono soprattutto di penetrare più addentro nell'intima natura di questo "continente sommerso" che, per alcuni secoli, fu il vero volto dell'uomo d'armi, del signore feudale, dei condottieri di eserciti... Solo la fotografia, in effetti, poteva darci quella evidenziazione di tratti "fisionomici" e simbolici che riman- frettoloso visitatore». Si deve dire, quindi, che l'itinerario di Lanzardo mantiene inalterata la sua forza, la magica tradizione di una celata che occulta lo sguardo del cavaliere, l'indiscussa qualità delle elegantissime armature, cosiddette «gotiche», eseguite ad Augsburg alla fine del '400 per Massimiliano d'Asburgo. L'obiettivo indaga nella memoria della storia e la possente, esclusiva, inquietante armatura diviene personggio d'acciaio, ignoto messaggero di bandiere nel vento, di parate, di scontri cruenti, di segni che le percorrono emblematicamente tanto che Goethe «giunse a dire che sotto di essa ogni uomo si trasforma in un "Neugeboren" (in un neonato), per indicare il potere rinnovatore e trasformatore d'ogni maschera» (G. Dorfles). La rassegna di Rovereto rinnova questo incontro con i cavalieri antichi, ritrova luoghi, cadenze poetiche, sensazioni che si possono anche avvertire nella rassegna cinematografica, curata da Diego Leoni, che al Museo della guerra si identifica, sino al 1° settembre, con il «Settimo sigillo» di Bergam e «Lancillotto e Ginevra» di Bresson, con «Guerre stellari» di Lu- cas e «Ran» di Kurosawa e «Aleksandr Nevskij» di Eisenstein. E dalla selva di lance, che ricorda la purezza compositiva di Paolo Uccello, dal mito della maschera che difende (e offende) il cavaliere dagli attacchi del nemico, dall'elsa della spada su lama di Toledo, si snoda una mostra che alla suggestione della fotografia unisce il mistero dell'avventura dell'uomo e l'improvviso, inconscio, talora auspicato, ritorno a una perduta infanzia. Angelo Mistrangelo