La Regione? Ha la febbre, guarirà

La Regione? Ha la febbre, guarirà Gian Paolo Brizio, nuovo presidente democristiano, prepara il rilancio La Regione? Ha la febbre, guarirà Beltrami torna, per ora, in Consiglio «La Regione sta male, ma può salvarsi». Gian Paolo Brizio, 61 anni, de da almeno trenta, dirigente industriale, due figli, famiglia nobile, da sempre con Carlo Donat-Cattin nelle lotte e nella passione politica, è nella «sala dei Re». Già cinque anni fa era entrato nel gran conclave de papa, ma ne era uscito cardinale. Gli avevano preferito Vittorio Beltrami di Omegna che ora lo accoglie al secondo piano di piazza Castello forse con una punta di malinconia. I! nuovo presidente, agguerritissimo, s'arrabbia quando gli si dice di una Regione in difficoltà con sempre meno voce nei capitoli che contano, quasi al tramonto. Eppure.... «Certo — ammette — nessuno può negarlo. In tanti le hanno dato addosso cercando di ridurne i poteri, di darle meno soldi, di farla asfissiare portandole via i sogni di ventanni fa, ma il futuro non è così nero». Però anche l'immagine è più logora e un po' sbiadita. «Sì, è vero. C'è stata una caduta. Ha permesso a chi c'era di lavorare molto, di riordinare, riaffermare, chiarire. Ora è tempo di rilanciare. Sono qui per giocare al rialzo». «Dallo Stato pretenderemo più soldi, più autonomia, più potere. Il Piemonte non ò terra di conquista e noi non siamo qui per svendere». Vestito grigio ministeriale, cravatta di Hermes su camicia azzurra in perfetta nuance, Gian Paolo Brizio, appena eletto ha parlato per quarantacinque minuti. E continua oggi. Ma il suo cursus honorum non è fatto di parole. Laurea in economia e commercio, comincia in banca al Credito Italiano che lascia per guidare un'azienda privata. Le Partecipazioni lo mandano a risanare fabbriche in crisi. Politico e dirigente partecipa con il ministro (che cita e sente quasi tutti i giorni) ad ogni battaglia de. Tutti, anche i pochi nemici che ha, gli riconoscono onestà e competenza. Leader di una «corrente», Forze Nuove, piccola ma sempre all'attacco s'è dovuto muovere tra vasi di ferro lui che era di terracotta. Ha perso tante volte, schiacciato dai voti dei dorotei, degli andreottiani, della sinistra de. Oggi (anche se non lo dice) è veramente soddisfatto. «Ormai non ci pensavo più — conferma — i presidenti possibili erano altri». Per lui s'era vagheggiato di una vicepresidenza alla Cassa di risparmio o di altri incarichi. Invece eccolo spuntare, già dalla metà di luglio, l'uomo che i democristiani volevano come presidente. Gradito anche ai compagni di cordata: dai socialisti ai repubblicani, dai liberali ai socialdemocratici. Adesso che le nebbie politiche si sono dissolte è a Chialamberto e sta scrivendo l'agenda dei prossimi mesi. «Scelte immediate? Preferisco non anticiparle. Le sto fissando. Certamente soldi, risorse (pubbliche e private) per i trasporti. Il Piemonte sui treni ad alta velocità e sul totale potenziamento dei suoi collegamenti rischia una fetta del domani. Quindi recupero di tutto ciò che ci hanno portato via fasciandoci in un bilancio che non ci permette che pochi interventi. Facciano fare ad altri gli sportelli pagatori, noi vogliamo decidere. Con l'aiuto delle altre Regioni ce la faremo». Grande entusiamo, dunque, ma la burocrazia è già in agguato. Treni, strade, comunicazioni, telematica, tutto qui? «No, cerco soprattutto un rilancio d'immagine e ruolo. La Regione deve tornare al centro di ogni dibattito, di ogni scelta, un punto di riferimento concreto e vicino». Un'altra bella favola per il vecchio Piemonte? «Le fiabe le leggevo qualche anno fa ai miei figli, non lo farò in Regione, non è nel mio stile». Brizio se l'è formato dai salesiani di Lanzo, in classe al liceo d'Azeglio con Piero Angela, Gianni Merlini e Piero Citati, l'ha forgiato nei santuari democristiani dove gli agguati arrivano anche dalle cappelle laterali, e ora lo porta in piazza Castello. Paura? «No, qualche timore». Progetti? «Tanti, ma è troppo presto per parlarne». Auguri presidente. Gli è accanto e lo saluta Vittorio Beltrami. E' il cambio della guardia nel palazzo del governo. Capo di una cordata di cinque partiti dove ognuno, sulle questioni più scottanti, voleva camminare da solo, Beltrami è riuscito a superare un'intera legislatura senza una crisi. Non è poco. Cattolico ha trovato nella pausa di preghiera in San Lorenzo (cui non ha rinunciato mai neppure nei giorni più neri) la forza per continuare. Non aveva sul tavolo «nodi» da poco: c'era da rimettere ordine là dove lo scandalo delle tangenti aveva creato vuoti di potere, assessorati da riorganizzare, rimediare a ritardi, sviluppare l'attenzione della Regione per i meno abbienti e cercare di costruire un progetto di sviluppo in grado di restituire equilibrio e risorse al vecchio Piemonte stanco della crisi e della recessione. Il suo mandato non era semplice: tenere unita la maggioranza su temi come questi, come ambiente, centrale nucleare, Acna, riorganizzazione degli ospedali e dell'assistenza, revisione della legge urbanistica, ampliamento della legge sui parchi non è cosa da poco. E più volte nei lunghi cinque scorsi anni c'erano tutti gli elementi per una crisi. Quante volte! Eppure no. Vittorio Beltrami, navigatore e quindi paziente tessitore di destini cominciava a telefonare ai protagonisti delle varie questioni aperte o degli scontri annunciati. Li incontrava, ragionava con loro e se proprio non poteva fare nulla, rinviava. Ma alla fine della festa ha portato a casa un buon risultato: ce l'ha fatta a tenere insieme una cordata di irrequieti alleati. Come? Per molte ragioni. Ma prima di tutto perché non ha mai peccato di protagonismo. Sul palcoscenico ha sempre lasciato salire gli altri, il microfono lo ha ceduto più spesso di quanto dovesse ai suoi assessori e questo gli ha procurato l'accusa di essere stato un presidente «grigio» e poco presente sui giornali e sulle tv. Ma pare che la cosa non l'abbia fatto soffrire più di tanto. Gian Mario Ricciardi Gian Paolo Brizio Vittorio Beltrami

Luoghi citati: Azeglio, Chialamberto, Lanzo, Omegna, Piemonte