«Finché ci sarò io, Marcello non morirà» di Foto Barni

«Finché ci sarò io, Marcello non morirà» La donna si alza alle cinque e non esce mai di casa: ho visto mio figlio rinascere, smentirò i medici «Finché ci sarò io, Marcello non morirà» Chiavari: un giorno con la madre del ragazzo uscito dal coma CHIAVARI DAL NOSTRO INVIATO Le dieci del mattino dev'essere un'ora bella per tornare al mondo. Anche se mamma Giuseppina ripete che il suo Marcello «non se n'è mai andato via da noi; l'ho tenuto aggrappato io, nonostante i medici che mi dicevano ch'era inutile, nonostante tutti quelli che mi dicevano ch'era peggio». Eppure, alle dieci del mattino di lunedì, Marcello Manunza, uno spilungone di un metro e 90 nato 26 anni fa e in coma da 3, è sgusciato di nuovo dai fondali scuri del mistero, dal lungo sonno che l'aveva avvolto. Ha mosso appena una gamba, un braccio, un occhio, che ancora adesso volge verso la mamma. Ha stupito i dottori, che continuano a dubitare: «Aspettiamo a crederci, forse si esagera». Per ora, è nient'altro che il miracolo di un amore, e c'è dentro tutta la disperazione, la cocciutaggine, la grandezza e l'egoismo di un amore. Non sappiamo come sarà, nei giorni che verranno, la vita di Marcello. «Spero che finisca in una carrozzina, un po' autosufficiente, finché ci sarò io», prega sua madre. E non ci sono medici attorno alla sua branda, non ci sono scienziati e professori, neppure suore e preti. Passa solo don Valentino, una volta la settimana, proprio il lunedì, e c'era questo lunedì, alle 10. Uno specialista americano, Glenn Doman, adesso li aspetta a Filadelfia, per provare le cure, per riscaldare altre speranze. Certo, Marcello che gira l'occhio sinistro e che apre e chiude la bocca come un pesce, ha ancora l'aspetto atroce di quelli che s'aggrappano a noi, alle nostre miserie e alle nostre illusioni, a farci solo capire che ne vale la pena; e sembra ancora di quelli che restano vivi perché il cuore batte, ma sono come morti perché non possono far altro che respirare a saliscendi, così, senza senso. Eppure questo spilungone inerte esiste, spiega la mamma che se lo sbaciucchia e accarezza, e spiega anche con grande candore che è proprio così che vuole lei. «Esiste e mi sente, mi capisce, mi segue. Vero, Marcello? Dillo a questi scettici, dillo a questi uomini senza fede che tu vivrai ancora con me, che io e te gliene faremo vedere. Dì mamma, muovi la boccuccia». E Marcello fa come un pesce, viene fuori un sospiro quasi impercettibile, «ma, ma, ma, ma...». Sarà per questo che esiste Marcello, che continua a esistere, salvato dall'amore come in una condanna, magari bella, certo grande. Ha le piaghe nei glutei, le escoriazioni alle ginocchia, i gomiti fasciati, gli arti flaccidi nel sigillo del coma. E quell'occhio che si muove, capace persino di salutare. Mamma Giuseppina non molla mai. Comincia alle 5 del mattino, bussando nel muro dalla camera accanto. «E lui si stiracchia un po',- e mugola qualcosa chiamandomi. Io comincio a parlargli allora, da quel momento, gli dico arrivo Marcello, hai fame?, hai già fame?, gli dico la tua mamma viene, basta che la chiami e viene. Lui sente anche gli altri, ma ascolta solo le mie parole. Ha sempre parlato con la mamma, vero Marcello? Non è vero quello che dicono i medici. E parlerà ancora, parlerà meglio, li dobbiamo smentire tutti quei balordi dei medici». In questo mondo d'amore dolente, non c'è posto per l'uomo. Papà Pasquale faceva il cavatore ad Ardesia, e quando Marcello ha avuto l'incidente ha smesso di lavorare, non ce l'ha più fatta. Adesso sta chiuso in una stanza, «abbandonato di là». Solo donne, in questa camera. C'è Paola, una volontaria, gli occhi dolci e belli. Ci sono due signore, poi la sorella di Marcello, e persino una nipotina di due anni e mezzo che chiama Nini quell'uomo inerte sul letto. E' lui l'unico uomo di quest'immagine, nella cameretta con le immagini dei santi e della Madonna. Un uomo bambino che è sgusciato ancora dal buio fitto di un grembo, e che è destinato a restare figlio per tutta la vita che gli resta. «Io non lo so», dice mamma Giuseppina, «non lo so dire quello che provo. E' un'emozione come quella della nascita, mi dico. E invece no. E' più forte. Saperlo in grembo e partorirlo è un conto, ma vederlo 3 anni lì immobile, e poi vederlo rinascere è davvero qualcosa di più grande. Ho dovuto lottare contro lo scetticismo dei medici. Ancora adesso. Dicono che bisogna andarci cauti, può essere che le mie siano visioni. Usano una parola strana: enfatizzare. Che vuol dire? Esagerare? Vede? Dicono che sono un po' matta, che forse ho le visioni. Io lascio dire. Un altro dottore invece mi ha detto: lo faccia soffrire il meno possibile, gli dia una vita dolce. Io faccio questo. Non conta niente per me, né vivere, né dormire, né mangiare. Quello che si prova per un figlio, non lo si prova per un marito, per nessuno. Ho mia madre all'ospedale, sta morendo di tumore. Ma io non ce la faccio ad andare da lei. Il mio posto è qui, vicino a Marcello. Mia madre capirà». E allora «Nini» resiste. E forse si può capire meglio come sia trattenuto, più che salvato. In questo paese, Cicagna, sui colli sopra Chiavari, lontano dalle frenesie, dalle rincorse, con le vigne piene che scendono fin sulla strada, i muratori sporchi di calce con il litro di bianco appoggiato sul gradino. In questo paese magari sarà più facile capire l'amore antico, violento, istintivo, di una madre. Ha sei figli, e questo di 26 anni è il più grande. Se resterà, lo farà a dispetto del destino. Come vuole mamma Giuseppina: «Io non vivrò in eterno. Ma finché ci sarò io, ci sarà posto anche per lui». Pierangelo Sapegno Marcello Manunza viene adagiato sullo scivolo dalla mamma Giuseppina e da alcuni volontari: è un momento della lunga terapia di riabilitazione [FOTO BARNI]

Persone citate: Foto Barni, Glenn Doman, Mamma Giuseppina, Marcello Manunza, Pierangelo Sapegno Marcello

Luoghi citati: Ardesia, Chiavari, Cicagna, Filadelfia