Vertice sull'antitrust

Nesi: la mia verità Prima intervista dopo lo scandalo Atlanta Nesi: la mia verità L'ex leader Bnl racconta TORINO. «Non sono riusciti a distruggermi, anzi mi sento più forte. Passato lo choc per la vicenda che mi ha costretto alle dimissioni, ho ripreso serenità e coraggio». Nerio Nesi, ex presidente della Bnl, bolognese ma torinese d'adozione, uomo della sinistra socialista, lombardiano di ferro, è uscito da un incubo, ma non ha dimenticato quel mese di agosto di un anno fa. La vicenda della Bnl di Atlanta continua a campeggiare nei suoi pensieri. Ha addirittura scritto un libro, preparato da Giorgio Lonardi per la Sperling & Kupfer, che uscirà a fine anno. Titolo: «Al servizio del paese». «Il titolo nasce dalla concezione - afferma Nesi -, patrimonio della mia famiglia, che bisogna comunque comportarsi avendo di mira l'interesse generale, oltre al proprio. Questo interesse che i nostri padri chiamavano "Patria", può cambiare il nome ma non la sostanza. Il libro credo non dirà cose eclatanti. Ci sarà una descrizione precisa di quel mese di agosto». Una pagina in anteprima? Lo spunto mi è dato dall'ultimo libro di Alan Friedman (Riuscirà il capitalismo italiano? ndr), il quale mi inserisce fra i «grandi» della finanza e dedica un capitolo alla vicenda di Atlanta. L'autore fa una considerazione maliziosa. Sottolinea che io sottovalutai la gravità della situazione, al punto da non cancellare la visita che facevo ogni anno, all'inizio di agosto, alle filiali dell'Italia Meridionale, una tradizione che avevo instaurato dieci anni prima. Friedman non tiene conto del fatto che, quando iniziai quel viaggio, lunedi 7 agosto, avevo già messo in atto tutte le misure urgenti che avevo concordato con la Banca d'Italia. Il vicedirettore generale, dottor Gallo (ora promosso consigliere delegato), richiamato dalle vacanze nelle Baleari, era a Roma, a presidiare la direzione generale, in sostituzione del dottor Pedde che si era sentito male. Il secondo vicedirettore generale, dottor D'Addosio (anch'egli ora promosso consigliere delegato) era già arrivato ad Atlanta alla testa di una decina di ispettori. Il terzo vicedirettore generale, dottor Croff (che da pochi mesi era in Bnl, proveniente dalla Fiat), era stato dirottato dalle Montagne Rocciose, dove trascorreva le vacanze, a New York, per mantenere i rapporti con le grandi banche nord-americane. La nostra forza Continua Nesi: Il timore della Banca d'Italia era che, alla diffusione della notizia, ci sarebbe stato panico negli ambienti finanziari nord-americani. Ci consigliò di fare affluire a New York, dalle nostre basi sparse nel mondo, i mezzi finanziari per affrontare eventuali richieste di rimborsi da parte dei nostri clienti. Negli Stati Uniti, infatti, circolavano delle «Commercial Papers Bnl» (eravamo l'unica banca italiana autorizzata) per cifre consistenti. Dimostrammo la nostra grande forza facendo arrivare, dal venerdì sera al lunedì mattina, a New York, una somma tale da scoraggiare qualsiasi speculazione. Ed il direttore Drogoul? Una volta fatta quell'operazione e constatato che l'immagine della banca era tutelata, restava la domanda se quelle transazioni senza autorizzazione che aveva fatto Christopher Drogoul fossero basate sul nulla e cioè se non avessero alla base un corrispondente atto commerciale. Decisi di mandare una delegazione a Baghdad, perché si sapeva che l'ipotetico debitore era il governo iracheno. Su consiglio della Banca d'Italia non mi mossi (sarei intervenuto nelle fasi conclusive) ma delegai il vicepresidente, professor Paolucci. La delegazione rimase a Baghdad tre giorni. Parlò con i più alti esponenti del mondo finanziario e governativo, tornando con un riscontro molto positivo: il riconoscimento ufficiale dei debito da parte dell'Iraq. Da quel momento si entrò in una fase meno drammatica. Nesi parla quasi avesse sotto gli occhi un'agenda densa di appunti. Verso la metà di agosto inviai una seconda delegazione sempre guidata dal professor Paolucci. Probabilmente, il non aver presieduto personalmente questa delegazione, conseguenza anche in questo caso di una valutazione congiunta con la Banca d'Italia, fu un errore. Noi chiedevamo tra l'altro che il debito fosse garantito da depositi di petrolio in Italia e che tutti i rapporti Iraq-Italia passassero attraverso la Bnl. Arrivammo vicinissimo all'accordo, grazie alla collaborazione preziosa dell'ambasciatore d'Italia. Cosa accadde a settembre? Mentre tutto pareva avviarsi verso una soluzione positiva, quasi obbligata, scoppiò improvvisa la «bomba». Una parte molto significativa della stampa italiana iniziò una serie di attacchi alla Banca ed alla mia persona nei primi giorni di settembre, che non ha precedenti nella storia del sistema del credito. Qualcuno, per ragioni diverse, ma che in quel momento coincidevano, aveva deciso che bisognava cogliere l'occasione per togliermi di mezzo. Si è parlato di attacchi politici che l'avrebbero fatta cadere dal piedistallo. Non c'è dubbio che qualcosa del genere è successo. Si è parlato di bloccare Nesi che voleva il «polo» finanziario Bnl-Inps-Ina. Sono convinto che è così. Molti commentatori hanno osservato che, dei protagonisti di quello straordinario disegno, uno solo è rimasto al suo posto: il Governatore della Banca d'Italia. Gli altri: il ministro del Tesoro, Amato, i presidenti dei tre istituti interessati, Nesi della Bnl, Longo dell'Ina, Militello dell'Inps, hanno lasciato i loro incarichi. E' legittimo pensare che tutto ciò sia frutto di una pura e semplice coincidenza, ma è altrettanto legittimo pensare il contrario. Per quanto mi riguarda, considero tuttora quel disegno un fatto di eccezionale importanza per il sistema del credito e delle assicurazioni del nostro Paese, tale da cambiare profondamente la struttura del sistema stesso. Il progetto aveva incontrato l'indifferenza, quando non l'ostilità, di gran parte del mondo politico. Ma sono orgoglioso di esserne stato uno degli autori, perché la costruzione che ne sarebbe derivata sarebbe stata nel solco dell'idea generale che fu alla base della creazione, nel 1913, dei tre istituti e che fu opera di due grandi statisti: Giolitti e Nitti. Sono anche convinto che la nascita, al centro del Paese, di un colosso pubblico, di proporzioni europee, avrebbe giustificato e reso più facile la nascita, nel Nord Italia, di un'aggregazione privata di altrettanta forza. Cosicché la concorrenza interna sarebbe salita di tono e di spessore e il Paese avrebbe potuto disporre di due strumenti di natura complementare e di portata tale da farci guardare con maggiore serenità alla concorrenza internazionale. Tutto questo non è avvenuto, con il risultato che né il sistema pubblico né il privato dispongono di strumenti di dimensione adeguata allo scontro dei prossimi anni. Per 11 anni lei è «il banchiere del psi»; improvvisamente è costretto alle dimissioni. Perchè? In questi anni ho avuto grandi riconoscimenti. Quello che mi ha fatto più piacere è stato il Cavalierato del lavoro, anche perché sono l'unico uomo di sinistra ad averlo ottenuto. Ricordo ancora il Presidente Pertini quando, nel consegnarmi la più alta onorificenza dello Stato, mi disse sottovoce: «Proprio io devo consegnare a te, che sei della sinistra socialista, un attestato che è sempre andato ai capitalisti». Ho quindi avuto molto dalla vita, anche se credo di avere meritato, con un duro lavoro, queste grandi soddisfazioni. Debbo anche dare atto al partito socialista di avermi designato per due volte alla guida della più importante banca italiana, pur facendo parte da sempre di una corrente minoritaria. Non provo alcun astio nei confronti di coloro che hanno deciso di togliermi di mezzo. Coscienza tranquilla Dottor Nesi, ancora oggi si ritrova al centro di alcune vicende per finanziamenti legati alla vendita di armi. Come vive questa realtà? E' una questione iniziata nell'84. La Bnl fu accusata insieme alla Comit (ultimamente però prosciolta) di aver finanziato vendite illegali di armi all'Iran. I fatti sono questi: su proposta della filiale di Parigi, la direzione centrale della banca approvò la partecipazione al 10% di un'operazione alla quale partecipavano le maggiori banche francesi e di cui era capofila l'Istituto bancario parigino Worms, di proprietà dello Stato francese. Da qui l'incriminazione dell'intero comitato esecutivo della banca. Ho la coscienza assolutamente tranquilla, perché, secondo il regolamento della Bnl, quando una pratica arriva al comitato esecutivo, quest'ultimo si occupa solo del rischio globale, perché tutta la pratica è già stata analizzata durante il suo lungo iter burocratico. Si dà cioè per scontato che tutte le questioni giuridicolegali, fiscali ed amministrative siano preventivamente esami. nate e risolte. Aggiungo che l'Iran non rappresentava né rappresenta per la Bnl un cliente insolito, né l'ammontare dell'operazione era in sé e per sé tale da costituire, per una banca come la Bnl, che amministra ogni anno oltre 100 mila miliardi di lire, un fatto eccezionale. Io non presiedevo, perché assente, la seduta del comitato esecutivo nella quale venne approvata la delibera che esplicava forniture di materiale bellico. Alberto Fumi «Non sono riusciti a distruggermi, anzi mi sento più forte. Passato lo choc per la vicenda che mi ha costretto alle dimissioni ho ripreso serenità. Non provo astio contro chi decise di togliermi di mezzo. Conoscevo i rischi di quell'incarico» Nerio Nesi Christopher Drogoul