Torino festival JAZZ di Gabriele Ferraris
Torino festival JAZZ Miles Davis e altri big in rassegna dal 9 al 12 luglio Torino festival JAZZ OUATTRO sere con il miglior jazz dell'estate. Il Festival torinese esordisce alla grande, con un programma che lo proietta immediatamente tra i massimi avvenimenti jazzistici italiani. Apertura il 9 luglio con Miles Davis al Palasport, e poi tre notti al Palatenda, con tre gruppi per sera e tanti concerti di contorno nel dubbino che verrà allestito accanto al tendone di piazza d'Armi. In questa stessa pagina trovate il programma dettagliato: agli esperti di musica afroamericana non sarà difficile darci ragione quando diciamo che questo Festival di Torino regge il confronto con il Gotha delle rassegne di luglio, non teme confronti né con Verona, e neppure con Umbria superstar. Davis non si discute, è il re: presenta la sua collaudata band con il sempre più trascinante Kenny Garrett ai sassofoni, è in gran forma dopo i problemi di salute che a cavallo fra l'88 e l'89 l'avevano costretto a annullare ben due tour europei, e nonostante le critiche di chi lo accusa d'aver definitivamente venduto la sua tromba al demonio dello show business rimane il padrone e signore incontrastato e incontrastabile della scena jazzistica mondiale. Ma la presenza del «divo Miles», del «Miles gloriosus» e finalmente meno arcigno, più di^ sponibile a quel contatto urna1 no che un tempo rifiutava pervicacemente, non autorizza a trascurare il resto del cartellone. Anzi: Davis è la ciliegina su una torta ricchissima. Vediamole da vicino, le altre tre serate, quelle del Palatenda: la prima, il 10, nasce sotto il segno del bebop, e non poteva mancare la tromba di Red Rodney, prezioso testimone dell'epopea parkeriana (chi ha visto «Bird» di Clint Eastwood ben ricorderà quel rosso musicista che faceva da contraltare alla furia autodistruttiva di Parker). Segue il quartetto di Roy Haynes, batterista cruciale del jazz moderno; e ad un altro prezioso batterista, Tony Williams, più vicino alle sonorità fusion, è affidata la chiusura del concerto. Si riprende l'I 1 con un supersummit di jazz vocale: il trio Montgomery, Plant & Stritch non ha bisogno di presentazioni, il pubblico torinese ha avuto modo di apprezzarli un paio d'anni fa a Settembre Musica e in altre, più recenti occasioni. Il patron del Festival di Torino, Sergio Ramella dell'Aics (che organizza la rassegna), li adora, e ha perfettamente ragione. Come ha ragione nel proporre, nella stessa serata, gli incredibili Take 6, sei cantanti di colore che si esibiscono unicamente «a cappella», senza accompagnamento strumentale, riuscendo a riprodurre con la voce i suoni di una grande orchestra. Ascoltateli, non crederete alle vostre orecchie. Terzo gruppo della serata, i New York Voices: anche con loro, indiavolati equilibrismi sonori per uno spettacolo mozzafiato. La stella della serata finale, il 12 giugno, è il pianista Dave Brubeck: che dire di lui? Lo conoscono tutti, se non altro per il suo celeberrimo «Blue Rondò à la Turk», o per quell'altro brano che s'intitola «Take Five». Brubeck, 70 anni, è un raffinato stilista, alfiere di un jazz bianco intrigato con la musica classica: è un genere che a qualcuno può non piacere, ma gli ha dato straordinaria popolarità in tutto il mondo. Altri protagonisti della serata, il quartetto All Stars del bassista Milt Hinton, con Frank Wess al sassofono, Derek Smith al piano e Bobby Rosengarden alla batteria; e la Excelsior Brass Band, «fanfara marciante» in stile New Orleans, per concludere l'avventura in un clima di festa popolare. Non c'è altro da aggiungere: Torino ha finalmente il grande Festival Jazz che merita, un giusto tributo a una città che ha dimostrato da sempre di amare e seguire con passione la musica sudamericana. Si comincia nel migliore dei modi. L'importante, adesso, è continuare. Gabriele Ferraris
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