Gorkij ribelle e prigioniero di Donata Gianeri

Gorkij ribelle e prigioniero Uscita una nuova biografìa Gorkij ribelle e prigioniero il PASSATO alla storia coj me il più importante alfiere delle rivendicazioni sociali: anche se in realtà Massimo Gorkij fu un grande scrittore sociale che non amava l'umanità. C'è da capirlo: sin dai primi anni della sua vita ne conobbe soltanto i lati peggiori. Cresciuto in una famiglia rozza e violenta, Gorkij, che si chiamava in realtà Aleksej Peskov, ebbe un'infanzia derelitta e priva di affetti, un padre manesco che morì quando lui era ancora bambino, una madre che lo rifiutava, per cui venne allevato dalla nonna che si prese teneramente cura di lui sinché a dieci anni non fu mandato a lavorare. E passò dalle mura inospitali di casa sua alla strada in un campionario di relitti dell'umanità, barboni, scaricatori di porto, delinquenti, fra i quali crebbe selvaggio e anarchico. E tale rimase per tutta la vita, sia pure sotto una leggera patina di mondanità. Il vagabondo e le stelle, Vita di Massimo Gorkij di Curzia Ferrari (ed. De Agostini) vuole offrire una biografia inedita di questo grande scrittore russo che in vita fu incensato, adorato e celebrato come un divo, malgrado la natura schiva e irsuta, portata certo più a nascondersi che ad esibirsi. Amaro, tormentato, oppresso dalla fatica di esistere (a diciannove anni tentò il suicidio, ma la pallottola deviata da una costola gli trapassò anziché il cuore un polmone, lasciandolo vivo e tisico), Gorkij trascorse lunghi anni a peregrinare per la Russia, forse per ritrovarsi o forse per sfuggire a se stesso, viaggiando spesso a piedi, così da venire soprannominato bosiak, il vagabondo. Ma dopo il successo, i suoi ripetuti esilii furono sempre dorati, certo molto diversi da quelli degli altri fuoriusciti, e dello stesso Lenin, che viveva relegato in due stanzette e doveva scrivere i suoi trattati sul tavolo da cucina. Gorkij, invece, si muoveva in un'atmosfera da pop-star, sempre al centro dell'attenzione generale, sempre preceduto da una piccola corte che si preoccupava di non fargli mancare niente prenotando il miglior appartamento nel miglior albergo possibile e organizzando serate in suo onore. Ha poco più di trent'anni e si firma già Massimo Gorkij, quando pubblica I bassifondi, ispirato alla sua adolescenza vissuta negli ambienti più miserabili, da cui attingerà inesauribile materiale umano per tutte le sue opere. I bassifondi viene rappresentato nel 1902 dal teatro del grande Stanislavskij con enorme successo e rende a Gorkij molti quattrini. Ma l'improvviso benessere non cambiò mai il suo modo di vivere e anche quando i suoi guadagni toccarono cifre leggendarie sembrò non rendersi conto di quello che poteva si¬ gnificare essere diventato ricco. Il compagno Gorkij girava in macchina con autista e segretario al seguito: i tempi della miseria erano molto lontani. Ma non furono mai dimenticati. Quando iniziano le sue fortune letterarie, Gorkij sposa Ekaterina Pavlovna Voljine, tipico prodotto dell'intellighentia russa dell'epoca, che gli darà due figli e rappresenta per lui l'esatto antipodo di tutta la gente fino ad allora conosciuta. Gorkij la tratterà sempre con un certo distacco: «Non ha mai sofferto la fame, quel tragico morso che domina tutta la vita animale. Le è facile far dell'ideologia, improvvisare discorsi di ghiaccio». In lui, oltre al senso della contraddizione, sarà sempre viva una gran diffidenza verso le ideologie. Eppure sia Lenin che Sialin cercarono di farne l'araldo del comunismo, costruendogli un'immagine pubblica ad hoc e fingendo di ignorare gli ondeggiamenti interiori che filtrano in tutta la sua opera e i suoi personaggi pieni di quella rassegnazione che il regime cercava di sconfiggere. Sinché Gorkij non dà alle stampe La confessione, scritto durante il suo lungo soggiorno a Capri, e da molti considerato il suo capolavoro: documento di un uomo che non rinuncia a essere marxista, ma vuole al tempo stesso essere cristiano. Il libro fu un grave colpo a quella figura di ideologo marxista che gli era stata cucita addosso. Lenin, più tollerante di Stalin, si limitò a prenderlo garbatamente in giro. Ebbe maggior rispetto della sua personalità, della sua intelligenza, della sua causticità: forse anche un certo timore degli effetti che avrebbe potuto generare un'opposizione aperta. Diceva: «Gorkij non è militante qualsiasi, è un artista». Stalin no: fu durissimo. E strinse via via il cerchio sino a non lasciarlo uscire più dalla Russia. Negli ultimi anni della sua vita il grande scrittore, cui venivano intitolate strade, piazze, biblioteche, scuole, fu in realtà un prigioniero in patria. Il suo ultimo orizzonte sarà popolato da una schiera di volti ambigui e infidi, i controllori, i trotzkisti, le spie, tutti intorno a lui a togliergli l'aria sotto il pretesto di proteggerlo. Nel 1936 Gorkij sfugge con la morte a questa vita tormentatissima. Nella grande Enciclopedia Sovietica si legge: «Fu assassinato dai nemici del popolo dell'organizzazione destro-trotzkista e dagli agenti imperialisti contro i quali combatté con tanto coraggio». Appena morto, Gorkij, così scomodo da vivo, si trasforma in eroe e le sue ceneri vengono inumate nel muro del Cremlino. E la sua storia si fa subito leggenda. Donata Gianeri

Luoghi citati: Capri, Russia